4 - Appunti Sul Logos

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Quaderni del Gruppo di Ur IV APPUNTI SUL LOGOS

Il Logos

Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emerso nell'omonimo forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, sia citazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuo aggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato può rendere opportuna una nuova edizione.

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R. STEINER GNOSEOLOGIA DELLA SCIENZA DELLO SPIRITO Estratti da "I Gradi della Conoscenza Superiore": ...Ora vogliamo descrivere ... i rapporti nei quali l'anima sta con i diversi mondi, quando percorre i successivi gradi della conoscenza. Così viene dato ciò che si può chiamare la gnoseologia della scienza occulta. Prima di inoltrarsi sul sentiero della conoscenza superiore, l'uomo conosce soltanto il primo di quattro gradi di conoscenza, quello cioè che gli è proprio nella vita ordinaria entro il mondo dei sensi. Anche quella che di solito si chiama scienza si muove su questo primo grado di conoscenza, poichè questa scienza non fa che elaborare in modo più fine il conoscere ordinario e renderlo più disciplinato. Essa arma i sensi di strumenti (il microscopio, il telescopio etc) per scorgere con maggior precisione ciò che i sensi nudi, come si suol dire, non vedono. Senonchè il livello della conoscenza rimane sempre lo stesso, sia che si guardino ad occhio nudo oggetti di grandezza normale, sia che si scrutino con l'aiuto di lenti oggetti e processi di dimensioni molto piccole. Anche nell'applicare il pensiero alle cose e ai fatti questa scienza rimane ferma a ciò che già si svolge nella vita quotidiana. Si ordinano gli oggetti, si descrivono e si confrontano, si cerca di farsi una idea delle loro modificazioni etc. In fondo, il più rigoroso scienziato non fa altro, a questo riguardo, che sviluppare a regola d'arte il modo di osservare che è proprio della vita quotidiana. La sua conoscenza diviene più ampia, più complicata, più logica, ma egli non procede ad una diversa qualità di conoscenza. Nella scienza occulta, questo primo grado di conoscenza è chiamato "conoscenza materiale". A questa si aggiungono poi , per cominciare, tre forme di conoscenza superiore e a queste, in seguito, altre ancora. Prima di procedere nella descrizione del "sentiero della conoscenza", vogliamo qui descrivere queste tre forme di conoscenza superiore. Se consideriamo come primo grado la conoscenza ordinaria (e scientifica degli oggetti sensibili) possiamo distinguere i seguenti quattro gradi: 1- la conoscenza materiale , 2- la conoscenza immaginativa, 3- la conoscenza ispirata, detta anche "volitiva", 4- la conoscenza intuitiva. Vogliamo ora occuparci di questi quattro gradi; e prima di tutto occorre capire con chiarezza che cosa siano queste diverse forme di conoscenza. Nella conoscenza sensibile ordinaria sono in gioco quattro elementi: 1- l'oggetto che fa un'impressione sui sensi; 2- l'immagine che di quell'oggetto l'uomo si forma; 3- il concetto per mezzo del quale l'uomo giunge ad afferrare spiritualmente un oggetto o un processo; 4- l'io che, sulla base dell'impressione dell'oggetto, se ne forma immagine e concetto. Prima che l'uomo si formi un'immagine, una rappresentazione, esiste un oggetto che gliene porge l'occasione; questo oggetto egli non lo forma, lo percepisce. Sulla base dell'oggetto nasce l'immagine. Finchè si guarda un oggetto, si ha a che fare con esso. Dal momento in cui se ne distoglie lo sguardo, non se ne ha più altro che l'immagine. Si abbandona l'oggetto, ma l'immagine rimane aderente alla memoria. Però non possiamo limitarci a questa semplice formazione di immagini: dobbiamo giungere ai concetti. La distinzione tra immagine e concetto è assolutamente necessaria per giungere qui a completa chiarezza. Supponiamo di avere dinanzi agli occhi un oggetto di forma circolare. Poi ci voltiamo dall'altra parte, conservando nella memoria l'immagine del cerchio. A questo punto non abbiamo ancora il concetto del cerchio. Il concetto risulta soltanto quando ci si dice: un cerchio è una figura nella quale tutti i punti sono equidistanti dal centro. E solo quando ci siamo formati un concetto di una cosa, siamo arrivati a comprenderla. Vi sono molti cerchi: piccoli, grandi, rossi, azzurri, etc; ma c'è un unico concetto di cerchio. Torneremo più avanti su tutto questo; per ora mi propongo soltanto di caratterizzare sommariamente i primi quattro gradi della conoscenza. Il quarto elemento che entra in gioco nella conoscenza materiale è l'io. In questo si forma l'unità delle immagini e dei concetti. L'io conserva le immagini nella sua memoria; se ciò non si verificasse, non si avrebbe una vita interiore continuativa. Le immagini delle cose sussisterebbero solo finchè le cose stesse agiscono sull'anima. Ma la vita interiore dipende dal fatto che una percezione si congiunga all'altra. L'io si orienta oggi nel mondo perchè di fronte a determinati oggetti gli sorgono le immagini dei medesimi oggetti di ieri. Si rifletta un momento a come sarebbe impossibile la vita dell'anima, se si possedesse l'immagine di una cosa soltanto finchè la cosa ci sta davanti. Anche riguardo ai concetti l'io forma l'unità. Esso connette i suoi concetti, creandosi così una visione d'insieme, cioè una comprensione del mondo. Questa connessione dei concetti avviene nel giudicare. Un essere che possedesse soltanto concetti isolati, non potrebbe orientarsi nel mondo. Tutta l'attività dell'uomo poggia sulla sua facoltà di connettere concetti, cioè di giudicare. La conoscenza materiale si fonda sul fatto che l'uomo, attraverso i suoi sensi, riceve un'impressione di cose e processi del mondo esterno. Egli ha la facoltà di sentire: la sensibilità. L'impressione ricevuta "da fuori" viene chiamata sensazione. Perciò nella conoscenza materiale sono da considerarsi quattro elementi: sensazione, immagine, concetto, io. Nel grado successivo della conoscenza viene a mancare l'impressione sui sensi esterni, la sensazione. Non c'è più alcun oggetto sensibile esterno. Degli elementi che sono familiari all'uomo, nella conoscenza ordinaria, ne rimangono solo tre: l'immagine, il concetto, l'io. Nell'uomo sano, la conoscenza ordinaria non forma alcuna immagine e alcun concetto, se non c'è un oggetto sensibile esteriore. L'io resta allora inattivo. Chi si forma immagini a cui dovrebbero corrispondere oggetti sensibili, là dove in realtà non ve ne sono, vive nella fantasia. Ma il discepolo della scienza occulta acquista appunto la facoltà di formare delle immagini anche dove non ci sono oggetti sensibili. Per lui allora deve subentrare qualcos'altro al posto dell'oggetto esteriore. Egli deve poter avere delle immagini anche quando nessun oggetto colpisce i suoi sensi. Al

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posto della sensazione deve subentrare qualcos'altro: si tratta dell'immaginazione. A questo grado, si presentano al discepolo occulto delle immagini, precisamente come se un oggetto sensibile facesse un'impressione su di lui: immagini vivaci e vere come quelle dei sensi, ma non provenienti dal mondo materiale, bensì da quello animico o spirituale. Intanto i sensi rimangono completamente inattivi. E' chiaro che l'uomo deve prima conquistarsi questa facoltà di avere delle immagini piene di contenuto, in assenza di impressioni sensoriali. Una tale conquista avviene per mezzo della meditazione, degli esercizi che sono stati descritti nel libro L'Iniziazione. L'uomo, ch'è limitato al mondo dei sensi, vive soltanto nella cerchia di un mondo d'immagini, che prima hanno trovato accesso in lui attraverso i sensi. L'uomo immaginativo possiede invece un mondo d'immagini, che gli affluiscono da una regione superiore. Occorre una disciplina molto accurata per distinguere l'illusione dalla realtà in quel mondo superiore d'immagini. Ed è facile che, quando tali immagini cominciano a presentarsi alla sua anima, l'uomo si dica: "Oh, sono solo fantasie, derivate dal mondo delle mie rappresentazioni!" Ciò è fin troppo comprensibile, poichè l'uomo, a tutta prima, è abituato a chiamare reale solo ciò che gli si offre senza il suo intervento, per mezzo della solida base della sua percezione sensoria. Egli deve prima abituarsi a considerare reali cose che hanno tutt'altra origine. Del resto, in queste cose, egli non sarà mai abastanza cauto, se non vuole diventare un visionario. Che cosa sia reale e che cosa sia solo illusione, nelle sfere superiori, può venire deciso solo dall'esperienza. Questa esperienza si deve acquistare mediante una vita interiore quieta e paziente. In un primo momento dobbiamo essere assolutamente preparati a che l'illusione ci faccia dei brutti scherzi, poichè da ogni lato ci insidia la possibilità che insorgano immagini provocate esclusivamente da inganni dei sensi esteriori, da una vita anormale. Occorre prima eliminare tutto ciò che è vita fantastica e solo in seguito si potrà pervenire all'immaginazione. Giunti che si sia a questo punto, ci si renderà conto che il mondo nel quale così si penetra non solo è reale quanto il mondo sensibile, ma lo è di solito assai di più. Al terzo grado della conoscenza vengono a mamcare anche le immagini. L'uomo non ha più a che fare se non col concetto e con l'io. Se al secondo grado egli ha ancora intorno a sé un mondo di immagini, che ricorda gli istanti in cui la memoria evoca dinanzi all'anima le impressioni del mondo esterno senza che tali impressioni vi siano in realtà, al terzo grado non si hanno più neppure tali immagini. L'uomo vive tutto in un mondo puramente spirituale. Chi è abituato ad attenersi soltanto ai sensi sarà tentato di credere che quel mondo sia scialbo e spettrale. Ma non lo è affatto; e anche il mondo di immagini del secondo grado non ha nulla di pallido, di scialbo, come sono per lo più le immagini che rimangono nella memoria, quando gli oggetti non sono più presenti. Le figure dell'immaginazione sono invece d'una vivacità e ricchezza di contenuto, a cui non si possono paragonare le pallide immagini che la memoria conserva del mondo sensibile, ma neppure il mondo stesso dei sensi in tutta la sua varietà e mutevolezza. Persino il mondo dei sensi, confrontato col regno dell'immaginazione, è come un ombra. Figuriamoci poi il mondo che si schiude al terzo grado della conoscenza! Della sua ricchezza e pienezza nessuna cosa del mondo dei sensi può dare un'idea. Ciò che per il primo grado è la sensazione e per il secondo l'immaginazione è per il terzo grado l'ispirazione. L'ispirazione dà le impressioni e l'io forma i concetti. Se proprio si vuol confrontare quel mondo con qualcosa di sensibile, si può paragonarlo unicamente al mondo dei suoni percepibili a mezzo dell'udito. Non si tratta però di suoni come quelli della musica sensibile, bensì di un risuonare puramente spirituale. Si comincia a udire ciò che avviene nell'interno delle cose. La pietra, la pianta etc. diventano "parole spirituali". Il mondo comincia davvero a pronunciare da sé il proprio essere di fronte all'anima. Può sembrar strano, ma è letteralmente vero che a questo grado della conoscenza "si ode spiritualmente crescere l'erba". Si percepisce come suono la forma del cristallo; il fiore che si schiude "parla" all'uomo. L'ispirato può annunziare la natura interiore delle cose; ogni cosa risorge in modo nuovo dinanzi alla sua anima. Egli parla un linguaggio che proviene da un altro mondo e che pure è il solo a rendere comprensibile il mondo d'ogni giorno. Infine, al quarto grado cessa anche l'ispirazione. Degli elementi che siamo soliti considerare, dal punto di vista della conoscenza quotidiana, ormai non c'è più che l'io. Il discepolo si accorge di essere asceso fino a questo grado, per effetto di una esperienza interiore ben determinata. Essa si esprime nel sentimento che egli ha di non trovarsi ormai più fuori dalle cose e dei processi che egli conosce, bensì all'interno. Le immagini non sono l'oggetto: lo esprimono soltanto. Neppure ciò che offre l'ispirazione è l'oggetto: essa non fa che pronunciarlo. Ma ciò che ora vive nell'anima è davvero l'oggetto stesso. L'io si è effuso su tutti gli esseri, è confluito in essi. Il vivere delle cose entro l'anima è appunto l'intuizione. E va presa proprio alla lettera l'affermazione che mediante l'intuizione si penetra nelle cose, ci si insinua in esse. Nella vita ordinaria l'uomo ha una sola intuizione: quella dell'io stesso, in quanto l'io non può in alcun modo essere percepito dall'esterno, ma solo sperimentato nell'intimo. Ciò può risultare da una considerazione semplice, che però gli psicologi non fanno col rigore che sarebbe desiderabile; e per quanto semplice possa sembrare, essa è della massima portata per chi la comprenda fino in fondo. Si tratta di questo: ogni cosa del mondo esterno può essere indicata con lo stesso nome da tutti gli uomini. La tavola può essere chiamata "tavola" da tutti, il tulipano può essere chiamato "tulipano" da tutti e il signor Bianchi può esser chiamato "signor Bianchi" da tutti. Esiste però una parola che ognuno può riferire soltanto a sé stesso: la parola "io". Nessun altro può chiamarmi "io": per ogni altro io sono un "tu". D'altra parte ogni altro è un "tu" per me: lui solo può dire "io" a sé stesso. Ciò dipende dal fatto che non viviamo fuori, ma dentro l'io. Analogamente mediante la conoscenza intuitiva si vive in tutte le cose. La percezione del proprio io è il modello per tutta la conoscenza intuitiva. Certo, per penetrare in tal modo entro le cose, occorre prima uscire da se stesso: occorre spogliarsi del proprio sé, per fondersi col sé, con l'io di un altro essere. La meditazione e la concentrazione sono i mezzi sicuri per ascendere a questo grado, come pure ai precedenti. Ma esse devono essere esercitate in modo calmo e paziente... ...Qui si vorrebbe soltanto far rilevare ancora che quella che nella scienza occulta si designa come "intuizione" non ha nulla a che fare con quanto spesso si caratterizza familiarmente con questa parola. Con essa si suole indicare un'idea più o meno vaga, in contrapposizione a una conoscenza chiara e coerente dell'intelletto o della ragione. Nella scienza occulta, invece, l'intuizione non è nulla di oscuro e incerto, bensì un elevato modo di conoscenza pieno di luminosa chiarezza e della più indubitabile certezza... ...Dall'ispirazione, l'osservatore spirituale può salire all'intuizione. Nella terminologia della scienza dello spirito questa parola significa, per molti riguardi, proprio il contrario di ciò che essa serve a designare nella vita ordinaria. Di solito si

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parla di intuizione quando si vuole indicare un'idea oscuramente tenuta per giusta, senza averne però ancora una chiara determinazione concettuale. Si vede in essa un grado preliminare alla conoscenza, piuttosto che una conoscenza vera e propria. Una tale intuizione (nel senso comune della parola) può certamente illuminare come un lampo qualche grande verità, ma come conoscenza può valere soltanto dopo aver ricevuto il fondamento da giudizi concettuali. A volte si chiama intuizione perfino qualcosa che si "sente" come verità, di cui si è persuasi, ma che non si vorrebbe appesantire con giudizi intellettuali. Si sente spesso dire da persone che si avvicinano alle conoscenze della scienza dello spirito: ho sempre saputo queste cose intuitivamente. Tutto ciò va messo completamente da parte, se si vuol comprendere quel che qui si intende per "intuizione" nel suo vero significato. In questa sua accezione, l'intuizione non è una conoscenza inferiore alla solita conoscenza intellettuale [conoscenza materiale], ma la supera di molto in chiarezza... Nel V cap. della "Scienza Occulta" Steiner scrive: "...I singoli gradini della conoscenza superiore, secondo il processo di Iniziazione qui descritto, possono dunque essere indicati nel seguente ordine: 1) Lo studio della scienza dello spirito, per il quale ci si serve anzitutto della forza di giudizio acquistata nel mondo fisico-sensibile. 2) L'acquisto della conoscenza immaginativa. 3) La lettura della scrittura occulta (corrispondente all'Ispirazione). 4) Il lavoro con la pietra filosofale (corrispondente all'Intuizione). ... Non è necessario che questi gradini si susseguano ordinatamente; a seconda dell'individualità del discepolo, la disciplina può anche svolgersi in modo che, prima di aver completamente superato un gradino, egli già cominci a praticare gli esercizi per quello susseguente..." Nella conferenza "Metodo Rosicruciano", riportata nella raccolta "Scienza dello Spirito", Steiner aggiunge: "... La disciplina stessa consiste in questo: I) LO STUDIO L'Europeo attuale non raggiungerà da solo, senza studio, la conoscenza della verità. ...deve dirsi: "Se altri ha pensato questo, deve pur essere umano pensarlo ed io voglio sperimentare in me stesso come si possa vivere con tali pensieri". Non occorre giurarci sopra come se fossero un dogma... Come l'edera si appoggia all'albero, finchè il suo fusto non è da tanto da poter sostenere i propri rami, così i nostri pensieri s'appoggiano alla struttura degli alti pensieri altrui, fino a tanto che noi stessi non siamo capaci di formare alti pensieri. Questo studio purifica quindi i nostri pensieri, cosicchè arriviamo a pensare con logica severa. Se per es. studiamo "un libro molto difficile", importa assai meno comprenderne il contenuto, che trovare il filo delle idee dell'autore e imparare a pensare i suoi pensieri. Perciò non dobbiamo stimare nessun libro troppo difficile: ciò equivarrebbe ad attestare la nostra indolenza a riflettere. I libri migliori sono quelli che bisogna leggere e rileggere molte volte, che non si comprendono subito, che occorre studiare frase per frase..." Dalla terza conferenza del ciclo "Pneumatosofia" (Berlino, Dicembre 1912): Succede che una Immaginazione penetri veramente nella comune quotidiana coscienza umana, ma vi subisca delle modificazioni quando si esplica: essa si esplica nella coscienza umana come ciò che suol chiamarsi "fantasia fondata sulla verità del mondo", la quale è la base autentica di ogni creazione artisca, anzi di ogni creazione produttiva dell'uomo. E appunto perciò per es. Goethe , il quale conosceva bene il processo artistico, ritiene così spesso, che la fantasia non sia assolutamente qualcosa che combina arbitrariamente le leggi cosmiche, ma che sia sottoposta alle leggi della verità. Queste leggi della verità agiscono completamente dal mondo delle Immaginazioni, ma esse, in questo caso, organizzano liberamente l'ordinario mondo della percezione; di guisa che nella "fantasia vera" abbiamo effettivamente qualcosa , che sta fra la rappresentazione ordinaria e l' Immaginazione. Nella fantasia, se compresa bene, se non viene concepita in modo che l'uomo non le dia valore e dica soltanto: che la fantasia è ciò che non è vero - nella fantasia dunque, se ben compresa, si trova una diretta prova del proseguimento delle rappresentazioni nella direzione in cui esse si possono riversare nel supersensibile del mondo immaginativo. Questo è uno dei punti in cui siamo in condizione di percepire il diretto fluire di ciò che possiamo chiamare il mondo spirituale nel nostro mondo ordinario. Nel V cap. della "Scienza Occulta" Steiner scrive: ... per mezzo dell'Immaginazione, si conosce la manifestazione animica degli esseri; per mezzo dell'Ispirazione, si penetra nell'interiorità spirituale di essi. Si riconosce anzitutto una molteplicità di esseri spirituali e di rapporti fra quegli esseri. Anche nel mondo fisico abbiamo a che fare con una molteplicità di esseri differenti; nel mondo dell'Ispirazione, però, questa molteplicità è di carattere diverso. In esso, ogni essere si trova in rapporti ben determinati con gli altri esseri, ma questi rapporti non sono dovuti, come nel mondo fisico, all'esercizio di una reciproca influenza esteriore, ma dipendono dall'intima natura degli esseri stessi. Quando si percepisce un'entità nel "mondo ispirato" non la si vede esercitare, sulle altre entità, alcuna influenza esteriore, che sia paragonabile, a un dipresso, all'azione di un essere fisico sull'altro; esiste nondimeno un rapporto fra quelle entità, a causa della loro costituzione interiore. Questo rapporto si potrebbe paragonare a quello in cui i diversi suoni o lettere che compongono una parola si trovano nel mondo fisico. Per esempio, con la parola "uomo" l'impressione che si riceve è dovuta alla concordanza dei suoni: u-o-m-o. Nessuna spinta o influenza esteriore viene esercitata, per esempio, dalla "o" sulla "emme", ma i due suoni cooperano in un insieme, per virtù della propria loro natura interiore. L'osservazione, perciò, nel mondo dell'Ispirazione, si può paragonare soltanto a una "lettura" e gli esseri, in quel mondo, appaiono all'osservatore come se fossero segni di una scrittura, che egli deve imparare a conoscere e i loro rapporti si devono a lui rivelare come per scrittura sovrasensibile. La scienza dello spirito, perciò, chiama la conoscenza per mezzo dell'Ispirazione anche "lettura della scrittura occulta"... Per questa "lettura" le percezioni immaginative sono come tante lettere dell'alfabeto o suoni...Senza la conoscenza per mezzo dell'Ispirazione, il mondo immaginativo rimarrebbe una scrittura che si potrebbe guardare, ma non decifrare.

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OSO APPUNTI SUL LOGOS Quando, nelle operazioni sottili, si passa dalla sfera della conoscenza intellettuale (intus-lègere) che si svolge necessariamente nel TEMPO FISICO (I dimensione del « tempo ») cioè in una serie di pensieri in concatenazione logica successiva, alla sfera della imaginazione, o conoscenza per imagini (imum ago = imago = agisco, opero per imum, per profondità), si passa allora dal leggere l’interno all’agire l’interno, e si entra, con l'ispirazione spirituale, nella sfera della DURATA, o tempo psichico (II dimensione del « tempo »). Non si vuole qui accennare alla terza sfera di operazione, nella quale non solo sì legge dentro e si agisce l’interno, ma addirittura si è interiorità mondiale, e che si attua nell’ETERNITÀ (III dimensione del “tempo” ) o tempo causale: conoscenza che all’uomo è possibile soltanto nell’attimo e che si chiama intuizione spirituale (ìntùeor = intus-eor = son portato dentro a = sono dentro a = m’identifico a = sono questo o quello); allora non si può più parlare di conoscere alcunché, ma di essere alcunché; e l’operazione relativa consiste appunto nel trasferirsi in enti. Si resti per ora in ciò che concerne la DURATA, e si dica che la durata è quello stato del tempo, che si manifesta come simultaneità. Ciò che è accaduto, ciò che accade e ciò che accadrà, sono triplicemente presenti (nell’impersonale, s’intende) e tessono della loro triplicità il vero e proprio spazio, del quale il nostro spazio a tre dimensioni non è che l’imagine riflessa nel tempo. Occorre spiegarsi. Quando il nostro occhio o il nostro pensiero percorre un certo «spazio» impiega inevitabilmente un certo tempo, sia pure frazionato al minimo. E questo è lo spazio riflesso, lo spazio fisico. Invece nello spazio psichico, o animico, il cui vero nome è durata, non esiste più tempo fisico (o tempo orario) sia pure ridottissimo; non esiste più la serie, bensì la forma-imagine il cui corpo è tessuto di tempo: e cioè esiste la figura, o meglio esistono le figure, del tempo. Queste figure si presentano alla seconda vista come esseri orditi di psichicità rilucente trasparente (a quel modo che i corpi terrestri sono tessuti di materia opaca e pesante) e questa psichicità rilucente e trasparente porta nella sua profondità interna (imum ago) l’attività simultanea di avvenimenti « passati», « presenti » e « futuri » che sono le loro azioni già compiute, le loro azioni attuali e le loro azioni future: le azioni cioè di questi esseri. Si potrebbe dire che, mentre il profilo o le linee sagomali esterne di queste imagini (forme) sono luminosità relativamente stabile (e da ciò la loro forma) , invece le linee interne che traspariscono da queste imagini sui vari piani volumetrici della loro minore o maggiore profondità, sono movimenti; e questo movimento si attua manifestandosi come sonorità. Si tratta dunque di una sonorità interiore che riesce percepibile soltanto a un orecchio assolutamente interiore, il quale si chiama infatti « orecchio del cuore ». Queste imagini lucenti risuonano della loro interiorità-in-movimento su varie profondità di trasparenza, e queste varie profondità sono ciò che queste figure furono, ciò che sono e ciò che saranno. Esse parlano tempo ma parlano simultaneamente tre « tempi » e questa triplice temporalità risuona sincrona in un dinamismo interiore unico, che non si può chiamare altro che divenire. Ma il loro divenire è a sua volta di triplice portata. Il divenire della loro propria essenza, risuonando in sfere sonore che si ampliano verso l’esterno (I portata) incontra altre sonorità di altre figure (o imagini) con le quali si temperano, sia armonizzandosi polifonicamente sia avversandosi in interferenze di sonorità arrestate; e in siffatto dramma (attuale) di musicalità esse si realizzano, in quel piano di simultaneità, sia come consonanti (armonia, equilibrio, amore) sia come dissonanti (avversione, lotta, guerra) e in tale reciprocità (II portata sonora) esse compiono vere e proprie azioni, in cui il prevalere dell’una o dell’altra di queste imagini fa sì che la sonorità psichica soccombente precipiti nella sottostante sfera fisica (III portata) e venga, diciamo così arrestata fissata, quale materialità del mondo esterno. I cadaveri di questa lotta cosmica sono le “cose” e gli “esseri” che noi vediamo con gli occhi corporali. Tutti gli oggetti e le forme che intorno a noi nello “spazio” fisico a tre dimensioni possiamo percepire coi sensi, non sono altro che sonorità arrestate, sonorità morte, parole stregate in materializzazioni, le quali attraverso operazioni redentrici e scongiuratorie della parola interiore, che si chiamano mantra, formule magiche, voci mistiche, sillabe incantatorie, possiamo ridestare, nella nostra coscienza, fino al grado di parola, di parola vivente nella sonorità interiore. [È da tener presente che il mantra, o formula, è soltanto leva e strumento per giungere a resuscitare la sonorità crocifissa; non è affatto, in sé, questa sonorità, la quale è soltanto nel contenuto vivente d’ispirazione della svegliata coscienza individuale, e perciò sempre creativa (in divenire) e giammai ripetibile in formule stereotipe ] . La “morte” di queste sonorità, nella forma visibile non è morte assoluta in sé; è una morte relativa all’archetipo sonoro la cui la forma esterna è solo imagine (simbolo): è una morte che in realtà è solo tacitazione d’interiorità risonante, e quindi espulsione dal paradiso dell’assoluta attività, in un arresto di inerzia provvisoria. (Perciò quando si percepisce il mondo fisicamente, e non ci si accorge di percepire soltanto simbolo, in realtà non si percepisce che illusione: maya). Lo stato di tacitazione, o inerzia relativa, passa per quattro gradi di infittimento progressivo che, tralasciando per ora le corrispondenze cosmiche, hanno riscontro in quattro gradi di discesa progressiva nella realtà naturale: l) Mondo minerale, nel quale della sonorità è disceso soltanto l’atto assoluto e istantaneo del suo proprio arrestarsi, e ne deriva, nella natura minerale, la densità, o peso specifico o massa atomica, ecc., le cui modificazioni vitali sono, in prima linea, combinazioni chimiche (infatti nell’esoterismo fisico l’essenza del suono archetipo si chiama anche « etere chimico ») e inoltre rapporti « elettromagnetici », cioè di gravità, equilibrio, staticità, coesione, attrazione molecolare, ecc. [Questo stato corrisponde nella coscienza umana a uno stato di sonno più profondo del consueto sonno senza sogni, e che chiameremo coma, o catalessi o trance o morte apparente ( = scheletro)]. 2) Mondo vegetale, nel quale della sonorità è disceso, oltre l’atto dell’arrestarsi, anche il procedimento successivo di questo arresto, cioè le fasi (in serie) di una discesa, che si presentano all’inverso nel mondo vegetale come fasi di sviluppo, le quali si chiamano crescita (vegetale) fino al fiore. Oltre il fiore si ha decrescita, attraverso il frutto e l’avvizzimento, fino al disseccamento e alla disgregazione minerale della pianta. Questo stato, nell’uomo, corrisponde al sonno profondo senza sogni (= sistema glandulare).

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3) Mondo animale, nel quale della sonorità è disceso non solo l’atto dell’arrestarsi, e il procedimento successivo dell’arresto, ma anche la rinuncia a risuonare, la quale si circoscrive in una forma per sé stante, staccata, oggettiva. L’animale è tutto intero nella sua forma (species) ma il suo muoversi non è che apparente giacchè, mentre nella species (visibilità di forma) c’è manifestato anche l’istinto tipico di ciascuna specie, invece il muoversi dell’animale, per esempio, rispetto alla pianta (la quale cresce soltanto: si sviluppa) è un esser-mosso dalla sua propria forma, non è un vero muoversi, bensì è l’imagine di ciò che l’animale non ha in sé, ma fuori di sé. E’ il simbolo di ciò che non è sceso in lui, ed opera su lui, formativamente dall’esterno, come istinto, come sapienza in lui riflessa, che si traduce in movimento (automatico, rispetto alla coscienza del singolo animale). L’animale è sognato in movimento da enti la cui essenza è essa stessa movimento e da ciò sembra che si muova, ma in realtà è mosso. Così come l’uomo, dormendo, sogna movimenti ma non è lui l’autore di quei movimenti, non muove sé stesso (non si parla qui del supercosciente, ma dell’uomo normale) così la forma dell’animale è un sogno in movimento, un sogno fatto da enti il cui sogno crea animali di suono, animali di sonorità, i quali, arrestati da avversari, discendono in specie animali fisiche sulla terra. 4) Mondo umano, nel quale la sonorità discende tutta intera, come vita interiore autonoma nel singolo. L’atto dell’arrestarsi (densità) permeato del suo stesso procedimento discendente (sviluppo) e della sua propria rinuncia a risuonare (forma) accoglie in sé anche il movimento dell’intero processo, che nel suo significato viene rimodulato dal di dentro dell’essere umano e si riesteriorizza in linguaggio. Il linguaggio dell’uomo (e come linguaggio s’ha da intendere ogni sistema di segni espressivi - per intenderci, le varie arti) è l’imagine del Logos. Nell’uomo, s’è detto, vive anche il significato dell’intero processo della sonorità (cioè del divenire mondiale) e questo si esprime in tutto l’ apparato di movimento umano: nell’intero sistema delle membra. Chi guarda un uomo, vede non solo una densità che si sviluppa e la cui forma esprime un’interiorità, ma vede sempre una forma in movimento, cioè che si muove (anche quando l’uomo è in stato di riposo), e si muove, per accogliere ed esternare individualmente il significato universale. Questa intera consapevolezza parlante sarebbe, nell’uomo, lo stato di veglia perfetto. Cioè l’uomo eretto, che in movimento parla la sua propria interiorità come interiorità universale: questo è Uomo. Tutti conoscono la concezione morfologica, per la quale la foglia di una pianta non è che l’intera pianta in piccolo, e reciprocamente la pianta non è che una sua propria foglia in grande. Orbene, la forma corporea dell’uomo non è altro che il suo proprio organo del linguaggio ,visto in grande, come l’organo del linguaggio è, in piccolo, l’uomo intero. E poiché l’uomo riprende e sintetizza in sé gli altri stati precedenti (minerale, vegetale, animale) si giungerà rapidamente, su questa via, per intensità progressiva, alla percezione trascendentale che nella parola umana vive l’essenza risonante di tutte le forme dell’universo. Ciò suggerisce in essenza il significato della libertà dell’uomo; significato che sorge dalla coscienza di poter discendere o salire tutta la scala degli esseri (in giù fino al minerale [e sotto], in su fino al Padre) mediante la sua triplice entità interiore (pensiero, sentimento, volontà) vivente in movimenti unitari ma distinti (rapporti fra i vari organi umani) e parlante in movimenti esterni (parole, opere, lavori, moti delle membra, partecipazioni di coscienza, atti di super-coscienza). Questa facoltà gli dà in sintesi il potere di tirar giù dalla sonorità archetipa dentro la forma sensibile (parola-forma) gli esseri della creazione entro le sue proprie creazioni umane, come anche gli dà potere di riliberare in su, nella sonorità originaria del Logos, fuori della forma fisico-naturale, gli esseri del già creato, nella Parola creativa delle gerarchie. Da qui trapela primamente il senso profondo, che gli aspetti e gli esseri del mondo, in realtà, altro non sono che nomi e che il nome dei nomi è l’Uomo interamente cosciente della parola cosmica individuata nell’Io. Una delle conclusioni di questi appunti può essere la seguente: Non tanto è vero che tutte le cose possono essere trasposte sul piano della parola cosciente, per essere tradotte in parole; quanto è vero l’opposto, che gli aspetti e gli enti del mondo (le creature, gli oggetti, ecc., gli angeli, i demoni, ecc.) non sono, in sé stessi, che lettere più o meno alfabetizzate (fissate) del linguaggio universale, del Logos. In questo alfabeto l’Uomo esprime realmente (e solamente) l’intero essere suo, in movimento progressivo verso l’attuazione cosciente del suo proprio essere, che non è dunque un essere determinato dal mondo, ma all’opposto un articolatore, redentore e creatore del mondo. Che egli si aggiri in movimento, con piedi fisici, nella foresta fissata dei suoi propri movimenti interiori (divenuti a lui esteriori) ciò è la riprova della sua perduta coscienza unitaria di sé col mondo, ed è insieme come la misura degli ostacoli interni (cioè delle illusioni) che egli deve vincere per riconoscere e voler agire, in sé, il Logos nel quale egli stesso riporterà, fuori di sé, allo stato di Logos, la natura esterna. È allora certo che nel suo principio originario (non già nel tempo), nel principio consustanziale alle sostanze e agli aspetti del mondo esterno, tutto è assolutamente Parola Vivente. Nel riadottare, a mano a mano, come Parola Vivente quel mondo di morte che lo circonda, l’uomo ripasce il suo Pane celeste, del quale il pane terrestre non è che imagine di simbolo, stregata nella materialità pesante.

Consonanze

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Frater Petrus Note Lessicali Oso usa il termine "conoscnza intellettuale" nello stesso senso in cui Steiner parla di "conoscenza materiale", detta anche, in altri suoi libri, "conoscenza oggettiva". Perciò Oso intende riferirsi al comune uso dell'intelletto e non a quell'intuitio intellectualis, che costituisce il quarto livello di conoscenza o intuizione spirituale e che Steiner indica semplicemente con il termine "intuizione". Personalmente, per eliminare ogni equivoco, propongo di chiamare "conoscenza materiale" il primo livello di conoscenza e "intuizione spirituale" il quarto. Infatti, parlando semplicemente di intuizione, è facile che chi ascolta faccia confusione con altri significati attribuiti a questo termine, sia nel linguaggio comune, sia in quello filosofico. Un discorso simile vale per il terzo livello di conoscenza, dove il termine "ispirazione spirituale" è preferibile al più semplice "ispirazione", per evitare analoghe confusioni.

Oso ha messo in evidenza l'aspetto "corale" del Logos. Più o meno nello stesso periodo in cui Oso pubblicava, nulla rivista Ur, "Appunti sul Logos", Evola pubblicò, nel numero del Novembre 1927 della rivista Bilychnis, un lungo saggio intitolato "Il valore dell'occultismo nella cultura contemporanea", dal quale estraiamo un brano, del tutto parallelo alla monografia di Oso, nel quale viene chiarito quale può essere il concetto di "Padre degli Esseri" in una prospettiva magica.

J. EVOLA IL PADRE

La percezione psichica, abbiamo detto, fa conoscere gli elementi sub specie interioritatis. Secondo gii occultisti, essa ammette vari gradi gerarchici diversamenie denominati e simboleggiati, nei quali gli elementi stessi si svestono da aspetti particolari e relativamente fenomenici, che ancora in questo loro modo possono conservare, fino a rivelare l'assoluta loro essenza: il loro essere, il loro Nome. L'esoterica chiama ciò «lettura della Scrittura Occulta» o dei «Segni di Luce », o, ancora, penetrazione del «regno di coloro che sono». Ci si trova di faccia a degli esseri immateriali e pur viventi e possenti. Sarebbero gli «universali concreti», gli «dèi» - nella volontà dei quali risiederebbe la ragion sufficiente di ciò che, a posteriori, appare come leggi di natura, leggi organiche, forze collettive storiche - di razza, di tradizione, di religione, di nazione etc. : enti concreti colti direttamente dallo sguardo sovrasensihile di un Io integrato, dei quali gli «universali » della scienza sarebbero semplici miti mentali, astratti dalla molteplicità in cui la loro legge e la loro volontà si manifesta, apparendo sotto le categorie di spazio e di tempo. A questo punto l'iniziato può assumere due distinte attitudini, dalle quali dipende che il mondo di "coloro che sono", ed anche il compito che egli ulteriormente può proporsi, appaia in un modo ovvero in un altro. La prima di cotali attitudini è quella teosofico-contemplativa o «intellettuale» (nel senso neoplatonico dei termini), per cui l'esperienza è colta nel suo aspetto «apollineo» o «estetico» - e un conoscere, un comprendere, un liberarsi in funzione di una eterna armonia, di una comunione di essenza, sino alla suprema identità dello spirito nello spirito cosmico, diviene il senso del telos iniziatico. L'altra attitudine è quella magica, dalla quale l'esperienza viene assunta nel suo momento dionisiaco e dinamico. Mentre nel primo caso, in relazione al mondo di «coloro che sono », nasce una evidenza sovrasensibile che tutto ciò che è disarmonia, antitesi, lotta è soltanto un aspetto superficiale ed illusorio, rispetto ad una più profonda armonia, nel secondo caso è invece tutto ciò che è armonia che risulta quale aspetto superficiale ed esteriore di una realtà radicalmente tragica, lottante, pluralistica. All'occhio, destato alla visione sovrasensibile, del mago il

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mondo spirituale si rivela come quello di un insieme di potenze allo stato libero, potenze che non hanno attributi, che sono soltanto sé stesse in pura natura di folgorazioni e di lampeggiamenti. Termini, come fulminee, voraginose, spaventevolmente pure, non ne possono, essi stessi, che dare una lontana suggestione. Ognuna di tali potenze in tanto è, in quanto mantiene la propria individualità, resistendo alle altre che andrebbero ad attrarla ed organizzarla sotto di loro. Nessun «piano provvidenziale », nessuna legge di ordine, data a priori, che il dinamismo delle varie forze andrebbe semplicemente ad eseguire, in questo mondo allo stato libero: ciò che sta prima sono invece questi poteri, ed ogni legge ed ogni ordine nulla più che un prodotto di organizzazione, che il segno di un potere più vasto il quale è riuscito a travolgere, riprendere ed unificare altri sotto di sé, riducendo così l'originario caos delle forze molteplici e lottanti. La lotta, tuttavia, qui ha un senso tutto speciale, libero da tutto ciò che è odio e violenza: è come un mettersi faccia a faccia di «presenze», come un incontrarsi e misurarsi di gradi di «essere », di «quanta» di intensità. Nessuna potenza vuole, in senso stretto, travolgere e dominare le altre, ma ciò procede in via naturale, in virtù del più alto grado di essere che le è proprio, il quale è vortice in cui irresistibilmente sono attratte, riprese e subordinate le potenze minori che si mettano in rapporto con essa. In questo mondo materiato di tensione non vi è divario: non subordinare è essere subordinato. Mantenere la propria autonomia è vincere - e ciò qui vuol dire: resistere. Un principio fondamentale in magia afferma appunto che ciò che investe un ente e non riesce a travolgerlo, da esso è fatalmente travolto e ripreso nella sua legge. Chi calca la «Via Regia » della magia, pertanto, al luogo della contemplazione o della subordinazione e dell'obbedienza alla legge delle superiori entità, è chiamato ad affermarsi dinnanzi ad esse, come condizione, di là dalla sopravvivenza, dell'immortalità. Ma a ciò, secondo quanto si è detto, gli occorre vincerle, cioè strappar loro il quantum di fato che esse reggono per trasferirne su sè, come sur una più vasta consistenza, il peso e la responsabilità. Da qui una serie di «prove», in cui vi può esser vittoria come vi può essere catastrofe; da qui una vita estremamente pericolosa fra un mondo di voragini, di cicloni, di folgoranze spirituali sempre più fulminee e travolgenti, da sfera a sfera, da durezza a durezza ancora più dura, forte, irresistibile. Il grado in cui si è saputo procedere e tener fermo, misura e fissa il posto e la dignità di un essere nella gerarchia cosmica. Posto che esser può anche il primo, giacchè in questa esperienza il principio supremo non è tale di diritto, ma semplicemente per essere la più alta delle potenze - cioè la potenza che fmora non ne ha incontrata una maggiore. La leggenda del «Re dei Boschi» di Nemi, la cui dignità passava a chi sapesse sorprenderlo ed «ucciderlo», la dichiarazione di Patanjali, che gli Dèi sono nemici dello yogi, lo strano detto che il discepolo «uccide» il Maestro - sono alcune allusioni a questo ordine di cose, di cui, per ragioni facili ad intuirsi, poco o nulla è trapelato non pure fra i profani, ma anche fra le scuole occultistiche di colorito gnostico e mistico. Un Io che in nessun punto viene meno alla tensione, che in nessun punto è indietro rispetto alla marea vertiginosa delle energie cosmiche che, destate e scatenate dal suo procedere, tenderebbero a sbalzarlo via, ma simultaneamente crea sè in esatta, coestensiva quantità di «sufficienza » che le incatena e le fissa - è il telos delle iniziazioni magiche: un essere regale e solare, più forte della natura, dominatore degli dèi, di là dallo stato di nascita e morte.

L'incertezza nella scelta tra due modi diversi di affrontare "il regno di coloro che sono", secondo quelle che Evola ha definito, rispettivamente, l'attitudine teosofico-contemplativa e l'attitudine magica, venne espressa nella forma del seguente dialogo lirico, dedicato a Paul Valery, da Emilio Servadio, nel n° 7/1930 della rivista la Torre, diretta da J.Evola.

Emilio Servadio LEDA O I DUE MONDI ANCELLA Regina, la nuvola che oscurava il sole si allontana verso la montagna. Vedi! L'ombra sale sul verde inesorabilmente, e spaventa gli alberi. Gli uccelli non cantano più. Attendono che l'altro lembo del velo funereo si sollevi, e che il prato riemerga. O regina, ma il giardino è d'oro, e i fiori tremano di beatitudine! LEDA Non di beatitudine, carissima: tremano di attesa. Già un evento è trascorso, e un altro insorge. Questi gigli, li sento mormorare prima che un alito caldo li commuova, e tremano già come piume. E il vento s'indugia ancora laggiù, a sospingere l'una contro l'altra le foglie tonde, sullo stagno. Andiamo, e vedrai che tutto il giardino è profeta, perché vive dell'attimo che verrà, non di quello che passa. Tuto ciò che esiste è anelito e trepidazione. ANCELLA Eppure... LEDA Carissima, che cos'è un fiore? ANCELLA È un'idea di fiore che si rivela. LEDA O bambina, bambina! Non vedi che il vento accorre, s'abbatte sul cespo, tutto lo carezza, lo abbraccia, lo riesprime? Che cos'è questo giglio? Or'è un istante si drizzava immobile e bianco, come un pallido volto ignaro, e i petali facevan corona allo stame, staccati e diversi. Avresti potuto crederlo, per un momento, una

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divinità eterna. E ora! Guarda: lo stelo ondeggia, descrive verso il suolo dei piccoli archi, che cessano d'esistere appena compiuti. Si rialza. Oscilla. I petali si schiacciano e urgono contro lo stame, i loro contorni delicati s'arruffano. Mille aspetti tu vedi, di una espressione cui sarebbe folle dare un nome solo. Gìglio, questo turbinoso mutar di aspetti, in cui la linea si spezza, il colore si dissolve, e tutto non è più che un vortice lento e infrenabile? Tu gli dai un nome, e credi trattenerlo. Lo chiami giglio, ed è l'infinito che passa. ANCELLA Regina, io non ti credo. LEDA Non crede chi non sa. Dimmi il tuo pensiero, carissima. ANCELLA Io credo nelle idee immutabili e inesprimibili, a cui tenta rassomigliare tutto ciò che vive. Credo che la forma del gìglio preesistesse al giglio, e così quella della luna, del fuoco, del mare e del sole. Credo che quel che tu chiami, regina, mutazione sfrenata, fluire senza legge, ad altro non sia pari che alla danza lieve della corètìde, che si libra sull'alluce, volteggia, s'abbandona, e sembra evadere dal preciso canone della melòde, che invece, infrangibile, la trattiene e la sospende. LEDA Ascolta: stanotte ho avuto un sogno dolce e raro. Mi trovavo, credo, in una cripta vasta e bianca, e giungeva al mio orecchio, invariato come una nenia, un respiro di mare che passava in alto, oltre la volta, si spingeva sino a orizzonti senza linea, tornava, riprendeva la sua corsa tumultuosa. Mi volgevo, guatando in silenzio i muri candidi e colossali, e scorgevo eretto in un angolo, quasi muto signore dì quell'incredibile regno, il simulacro dì. un dìo ridente. O il suo volto! ne ricordo l'espressione di calma acuta, di sovranità totale. Il suo riso pareva significare fremito incontenibile, la pura linea del volto, armonica precisione. E io ebbi per un momento il senso che tutto potesse esaurirsi nel contemplare quel mondo candido ed esatto, e nell'ascoltare il ritmo superiore e invisibile degli oceani. Ma improvvisamente, scaturito da qualche profondità sconosciuta, mi assillò il torbido desiderio dì spezzare quella calma, di evadere da quelle mura troppo armoniose, di fuggire oltre la sottile parabola della gran volta, e dì distruggere, sì, distruggere quel simulacro che m'abbacinava e mi teneva estatica sotto il suo dolce sguardo di metallo! ANCELLA Spavento! LEDA E levato il braccio, colpii la statua nel petto. Non mi fu necessaria molta forza: come il ferro arroventato scioglie il ghiaccio, il marmo parve dissolversi al tocco delle mie dita, svanire subitamente. I muri arretrarono a un primo istante, e si squassarono come presi d'orrore. Si allontanarono quindi svanendo anch'essi d'un subito, e io mi trovai rapita vertiginosamente da un'ombra bianca come il latte, che mi traeva verso inesistenti mete, sollevandomi ora alle nuvole, ora sommergendomi e lasciandomi sprofondare in molli abissi candidi e vellutati. E l'esser cosi trasportata come da un pericolo innocente, da una forza terribile ma scevra di passione, mi era insieme voluttuoso e tremendo, e avrei voluto fuggire e restare insieme, concedermi e ribellarmi... E venne a un tratto il risveglio. Carissima, non era un sogno. ANCELLA Che dici, Regina? LEDA Ti dico che ora, so: il sogno altro non è che un'introduzione della verità. E ora io vedo: non esìste la forma, l'immobile è una parvenza. E ora ho appreso l'amore, e ho appreso l'odio, che non sono se non due aspetti del sentire. Odio le forme immobili, le fuggo, ed esse mi richiamano; amo l'impalpabile e l'ineffabile e ne ho paura. Il candido abisso mi attira; chi mi tratterrà? Carissima, circondami con le tue braccia prima ch'io mi senta morire. ANCELLA Regina, mìa regina, che hai? Sei bianca, i tuoi occhi si rovesciano in alto. Che cosa vedi? Ti abbandoni... Dove sei? LEDA Penetra in me, dolce brivido, bianco soffio dell'Infinito!..

Frater Petrus Echi Filosofici Moderni della Visione Magica La visione magica dell'esistenza, riesposta da "Oso" e Evola in forma adeguata ai tempi attuali, ha diverse dottrine in parte concordanti, nell'ambito della filosofia moderna. Considerando il primo periodo postkantiano, si ha il caso della metafisica di Johann Friedrich HERBART (1776-1841). Questi elaborò una dottrina, nella quale l'anima individuale interagisce con le altre anime e con gli altri "reali". A causa di tale interazione, i "reali" effettuano degli atti di "autoconservazione", che, nel caso delle anime, viene vissuto nella forma delle "rappresentazioni" mentali e delle loro combinazioni. (Introduzione alla Filosofia, 1813 e Metafisica Generale, 1828-29). Un idealista inglese, John Ellis MC TAGGART (1866-1925), ritiene che l'Io finito sia l'elemento ultimo e irriducibile della realtà e che i vari Io siano eterni. L'assoluto non è che l'unità di questi Io. Inoltre, come unità di un sistema di Io, l'assoluto non può essere inteso come un Dio personale (Studies in Hegelian Cosmology, 1901). Un altro idealista inglese, Alfred Edward TAYLOR (1869-1945), famoso per i suoi studi su Platone, considera l'assoluto

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come una società di individui, cioè una "struttura" che ha come finalità l'unità dell'insieme, ottenuta "assegnando" a ciascun membro un posto in relazione a tutti gli altri (Elementi di Metafisica, 1903). Lo spiritualista italiano Bernardino VARISCO (1850-1933) mette in evidenza che, perchè l'universo sia mutevole nel tempo, è necessario che esso sia fondato su una pluralità di "centri di spontaneità", legati dall'unità dell'Essere, ma in una certa misura indipendenti e perciò fonti di un accadere effettivo. La variazione spontanea di ogni centro interferisce con quelle di tutti gli altri centri e tale interferenza costituisce il fenomeno, il fatto oggettivo (Massimi Problemi, 1909 e Conosci Te Stesso, 1912). Nell'ambito del pragmatismo americano, William JAMES (1842-1910) ritiene che la visione spiritualistica esiga un universo pluralistico, nel quale la molteplicità e l'indipendenza relativa degli esseri renda possibile l'indeterminazione e la libertà. Di conseguenza, il progresso non può essere che la risultante della cooperazione degli sforzi. In un universo di questo tipo, secondo James, Dio non può essere concepito come onnisciente e onnipotente, ma come un Dio limitato e con funzioni non del tutto dissimili da quelle degli enti minori (A Pluralistic Universe 1909). Benedetto CROCE (1866-1952), nella sua Filosofia della Pratica (I ed.1909), mette in evidenza la distinzione tra le volizioni-azioni dei singoli individui e l'accadimento, considerando quest'ultimo come la risultante di quelle. Dice, infatti, Croce: "L'azione è l'opera del singolo, l'accadimento è l'opera del Tutto: la volontà è dell'uomo, l'accadimento è di Dio. O, per mettere questa proposizione sotto forma meno immaginosa, la volizione dell'individuo è come il contributo ch'esso reca alle volizioni di tutti gli altri enti dell'universo e l'accadimento è l'insieme di tutte le volizioni, è la risposta a tutte le proposte" (ibid. Bari, ed. 1950).

In connessione con quanto accennato in "Appunti sul Logos" sull'intuizione spirituale e sul tempo vissuto come "eternità", ma anche in relazione con le pratiche esoteriche notturne, proponiamo la lettura dei seguenti estratti dalla conferenza "Eternità ed Attimo", tenuta da R. Steiner a Monaco il 29 Agosto del 1912.

R. STEINER ETERNITA' E ATTIMO

La Tentazione del Tempo Ieri, con le inadeguate parole che abbiamo a disposizione, ho tentato di caratterizzare come avvenga l'uscita dal corpo

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fisico per arrivare a sperimentare e sentire nel corpo eterico o elementare e in quello astrale. Ho osservato che il sentirsi nel corpo elementare o eterico suscita l'impressione di un effondersi negli spazi universali, pur conservando la coscienza che tale espandersi muove da un punto centrale, dalla propria corporeità, per fluire in ogni direzione verso l'infinito. Lo sperimentare nel corpo astrale si presenta invece come un balzo fuori di sè stessi e un immergersi nel corpo astrale; si sente ormai realmente di sperimentare fuori della propria corporeità fisica; ciò che si chiamava «sé stessi» viene ora sentito come qualcosa di esterno, qualcosa che sta fuori. Si è in qualcosa d'altro... Per chi abbia fatto i relativi passi verso l'iniziazione quel che ho qui descritto, e cioè il penetrare nei mondi spirituali, può avvenire durante la vita diurna, ma può anche verificarsi altrimenti;...Come risultato degli esercizi che conducono ai primi passi dell'iniziazione, può dunque accadere che si rischiari, che si illumini la coscienza del sonno di solito incosciente. Così si entra nei mondi delle gerarchie superiori, si sente di appartenervi...Si può paragonare solo un'esperienza del mondo sensibile con quella che si determina nel mondo delle gerarchie. È solo un paragone, ma esso potrà servire. Supponiamo di appartarci in qualche luogo col proposito non di pensare faticosamente all'una o all'altra cosa, ma di non pensare a nulla di particolare. Ma ecco, non evocato, in noi affiora un pensiero. Esso s'impadronisce della nostra anima e la colma tanto che sentiamo di non poter più far distinzione fra quel pensiero e noi stessi; siamo del tutto congiunti col pensiero che è sorto in noi. Abbiamo il sentimento che il pensiero vive e trae seco la nostra anima, essa è unita con quel pensiero, ma si potrebbe altrettanto bene dire che il pensiero è nella nostra anima o che la nostra anima è nel pensiero. In questo modo si sperimenta nel mondo dei sensi qualcosa di analogo a come si conoscono gli esseri delle gerarchie superiori. Le espressioni: essere «accanto» a quelle entità o «fuori di loro» perdono ogni senso. Si è con loro come i pensieri sono in chi li pensa, non però da poter dire: i pensieri sono in me, ma da poter dire: i pensieri si pensano in me. Gli esseri sperimentano se stessi nell'uomo, ed egli partecipa al loro sperimentarsi. Egli è in loro, è tutt'uno con loro, così da aver tutto il proprio essere effuso nella sfera in cui essi vivono e da partecipare alla loro vita, sapendo che in queste esperienze quegli esseri sperimentano se stessi... Si ha cioè l'impressione che è assurdo esprimere il nesso col mondo nel quale ci si trova effusi con parole che sono invece ovvie per il mondo dei sensi. Ad esempio i termini «prima» e «dopo» cessano di avere un senso. Nel sonno infatti non si sente: prima ci si addormenta e dopo verrà il risveglio, ma certe esperienze iniziano con l'addormentarsi e poi si sviluppano. Quando però si ha un determinato numero di esperienze, in un certo senso ci si trova di nuovo al punto di partenza, non però allo stesso punto di quando si era entrati nel sonno. Volendo parlare di «prima» e «dopo», e valendoci di una immagine grafica [un segmento rettilineo], diremo che il prima è in A e il dopo è in B. Qui [nel punto A] si ha l'impressione: ad addormentarmi sono io... e il poi non è già più esatto. Si sono infatti svolte vicende in base alle quali il prima e il dopo perdono significato. Dopo un certo tempo (ma dire dopo non è esatto) ci si ritrova nel punto in cui già si era, ci si ritrova di fronte a sè stessi, come se si fosse usciti dalla corporeità, si fosse andati intorno e ci si guardasse da fuori. Ci si ritrova dunque all'incirca al punto in cui si era al momento dell'uscita dalla corporeità, ma ci si ritrova di fronte a se stessi; si è mutata la direzione. Poi (e di nuovo la parola è usata come paragone) il processo si svolge ulteriormente ed è come se si rientrasse nel proprio corpo e di nuovo si fosse in esso. Non si sperimenta un prima e un dopo, ma quel che si sperimenta può anzi solo venir raffrontato a un moto circolare nel quale principio, metà e fine possono solo venir usati come qualcosa che si fonde insieme. Come di ogni punto di una circonferenza che sia tracciata si può dire che comincia qui e, dopo averla percorsa tutta intera, si può dire che qui finisce (e lo si può dire per tutti i suoi punti), così è di questa esperienza: non si ha l'impressione di sperimentare il tempo, ma di compiere un movimento circolare, di descrivere un ciclo con perdita totale del sentimento del tempo, quale regna nel mondo sensibile. Si sente soltanto: tu sei nel mondo, è il mondo ha un fondamentale carattere ciclico, circolare. A un essere quindi che non fosse mai stato sulla Terra, non fosse mai sceso nel mondo sensibile, ma fosse sempre vissuto in quel mondo, non potrebbe venire in mente che il mondo abbia avuto un principio e possa muovere verso un termine. Quell'essere penserebbe sempre e soltanto un mondo circolare in sé conchiuso; non avrebbe alcun motivo di dire di aspirare all'eternità, perché per lui tutto sarebbe eterno, nulla potrebbe suscitare l'impressione del trapasso dal temporaneo all'eterno. Tal sentimento di non temporaneo, di ciclico, sorge dunque a un certo gradino di chiaroveggenza o di vita del sonno cosciente, ma vi si congiunge una determinata aspirazione. Essa nasce perché nell'esperienza dei mondi superiori non si è mai in riposo, ci si sente ovunque presi nel moto circolare, ci si sente in movimento perpetuo, senza sosta. L'aspirazione che si ha è di potersi fermare in qualche punto, di poter in qualche punto entrare nel tempo. Direi che è l'aspirazione opposta a quella sperimentata nel mondo dei sensi. Qui ci sentiamo sempre vivere nel tempo e aspiriamo all'eternità: nel mondo del quale ho parlato ci sentiamo nell'eternità e abbiamo un'unica aspirazione: «Oh, potesse il mondo fermarsi un momento ed entrare nella temporalità!» Il perpetuo movimento nel tutto e la nostalgia per il tempo, lo sperimentare sé stessi nel divenire perpetuo, eternamente garante di sé, e l'anelito a poter una volta in qualche modo uscirne: questi sono i sentimenti fondamentali che ivi si imparano a conoscere. Certo, applicando a tali cose i concetti del mondo sensibile, si ha pieno diritto di trovarle paradossali; non dobbiamo tuttavia lasciarcene sconcertare: significherebbe rinunciare a una descrizione vera dei mondi superiori, mentre sappiamo che, per accedere a quei mondi, occorre lasciare indietro non solo ogni altra cosa, ma anche le stesse descrizioni del mondo sensibile... Come dietro la percezione ordinaria del mondo sensibile si cela quello spirituale, così dietro l'attimo si cela l'eternità. E come non è mai possibile dire: qui cessa il mondo sensibile e comincia quello spirituale, ma quest'ultimo compenetra sempre il primo, così pure la natura dell'eterno compenetra sempre l'attimo. L'eternità non viene sperimentata uscendo dal tempo, ma imparando chiaroveggentemente a sperimentarla nell'attimo. L'eternità ha la sua garanzia nello stesso attimo, perché vi è contenuta. In base alla coscienza chiaroveggente, in nessun luogo del mondo si potrà trovare un essere del quale dire che ha natura temporale oppure eterna. Per la coscienza spirituale non avrebbero senso le espressioni: qui vi è un essere che è temporale, oppure: qui vi è un essere che è eterno, ma avrebbe invece senso dire: ciò che è alla base dell' esistenza, attimo ed eternità, è sempre e ovunque...

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Frater Petrus Il Pane Celeste

Lo spirito alimenta i suoi corpi di manifestazione senza occuparsene contingentemente e senza alcuna difficoltà. Il pane celeste , che è un simbolo di tale potere dello spirito, è, perciò, in realtà, la forma normale di nutrimento. Tuttavia l'essere decaduto non crede in tale potere ed è costretto a cibarsi in maniera esteriore, per mezzo del pane terrestre e dell'alimento terrestre in genere. Il pane celeste può assumere talora manifestazioni meno astratte, fruibili tramite i veicoli più grossolani di manifestazione. Sotto tale veste più grossolana è classificabile in esteriore ed interiore. Il primo tipo è un alimento che, pur ingerito attraverso la bocca, tuttavia non è di origine terrena, ma appare nel mondo umano in circostanze extranormali. Un celebre esempio è quello biblico della manna. Il secondo tipo di alimento è puramente interiore e viene generalmente reso operativo per mezzo di pratiche immaginali. L'elisir interiore degli alchimisti è probabilmente l'esempio più noto.

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