Alda Merini - Delirio Amoroso

da DELIRI et AMOROSO FRASSINELLI Della stessa autrice LANIMA in libreria INNAMORATA CORPO DAMORE. UN INCONTRO CON

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da DELIRI

et AMOROSO

FRASSINELLI

Della stessa autrice LANIMA

in libreria

INNAMORATA

CORPO DAMORE. UN INCONTRO CON GESÙ MAGNIFICAT.

UN INCONTRO CON MARIA

LA CARNE DEGLI ANGELI POEMA DELLA CROCE UOMINI

MIEI

CANTICO DEI VANGELI FRANCEsCO. CANTO DI UNA CREATURA LETTERE AL DOTTOR G MIsTICA

DAMORE

(anchein ebook) PADRE MIO ETERNAMENTE VIVO

Alda

Delirio

Merini

amoroso

FVÈÉSSìHELLE

Il presentevolumeè stato pubblicatoper la prima volta nel 1989dalla casaeditriceil melangolo.

DELIRIO AMOROSO

Proprietà Letteraria Riservata

© 2011Sperling8: KupferEditori S.p.A. per Edizioni Frassinelli

Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può esserecopiato,riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato,licenziato o trasmessoin pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specicamenteautorizzato dalleditore,ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistatoo da quanto esplicitamenteprevistodalla leggeapplicabile.Qualsiasidistribuzione o fruizione non autorizzatadi questo testo così come lalterazionedelle informazioni elettroniche sul regime dei diritti

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wwwsperlingit www.facebook.comzsperlingkupfer

Alla memoriadi RobertoVolponi e a tutti gli amici del Chimera chegli hanno voluto bene.

La mia massimaaspirazioneè di avereunautoambulanzaa portata di mano come SalvadorDali. La prima la ebbi a trentaquattro anni, quando, dopo aver letto un oroscopo che mi prediceva una scampagnataallegra,mi vidi agguantatada quattro infermieri che mi buttarono soprauna CroceVerde. Erano tutti molto affettuosi e allegri. Mi davano grandi manate sulle spalle, io ero orgogliosa:quattro baldanzosigiovani mi colmavanodi attenzioni e mi rassicuravano. «Finalmente»,dissi aprendo il nestrino, «un po di aria fresca.» «Già,già»,disseun infermiere, «ariadi pianto libero.» Fui scaricatanellingressodel Paolo Pini, ma ancora non capivo. Le anime benedette non credono che nel mondo ci sia la violenza. Così restavoin quel luogo tormentoso e infame che è il manicomio. Dio, che orrenda parola! Cercavo,smarrita, i quattro giovani che si erano volatilizzati, quando mi trovai addossoun demente che mi diede un ceffonedicendomi: «Questo,tanto per cominciare»,e sene andò con aria altera.

Quando viene calato il sipario di un inaudito teatro, le marionette sono fuori, spente.Noi invano cerchiamo usignoli damore. Invano cerchiamo ciottoli per oscuri rosari. Il nostro padre è stato analizzatosenzala psicanalisi.Buttate via le cliniche psichiatricheche ci difendono dalla follia! Come è grande il delirio! O donne crudeli, donne che non avetemai provato il dolore e non sapetecosasignichi. Donne che vi specchiatenei limiti dei vostri gli, guardate bene che non si specchiin loro il vostro inganno. Voi, che per lavoro intendete il puro lavoro manuale o di insegnamento.ca un lavoro sottile che voi non avetemai provato: è il duro crogiolo di Dio, che operasu di me e che a volte mi fa sanguinare. Questo crogiolo operò nella mia mente e questoforse fu lo snimento maggiore,al di là dei tormenti sici e mentali. O forse fu questo dolore ancor più alto di tutti a salvarmi.Impregnata comerodi vero dolore biblico, non pensavoa coprirmi le spalle,ed ero diventata cosìaudacee discinta da parere quasi «invitante»per un ragionamentodamore. Anche oggi sono così:una donna che trasuda amore e pena. Una donna che trasuda sentimenti di vergognae tenerezza.Questo sentorevistosodi sofferenzafa il godimento delle umane lussurie. E che cosa non provoca la lussuria delluomo! Il suo sadismo matura proprio davanti alle carni distrutte. Perché non erano belle né invitanti, le nostre carni piene di ira e patimento, ma erano servite a generare.Perdonami, quindi, il paragoneestremo.Cequalcosadi più amorale di un manicomio?La vergognadelle nudità offerte al sacricio è stata anche la vergognadi Dio. Fu a questo punto forse, Signore,che io e te abbiamopianto.

Mia madre guardandomi diceva:«Hai dei anchi ben piantati. Saraiuna buona terra». Una buona terra, già. Una buona terra da fecondare.Ma avevo anche uno spirito e forse di questo mia madre non si accorse.Io ero delicata, schiva, e quel mio corpo prosperosomi dava fastidio. Mi appartavochiedendomi sela mia poesiafosseuguale al mio corpo e il mio corpo uguale alla mia poesia. Volevo esserediafana, dolce e stinta. Forsela trappola cominciò lì. Sono un essere frustrato

dalla demenza.

La demenzaera insorta così,un giorno, quando mia madre, nascendomio fratello, mi disse:«Non

puoi più studiare:è nato il maschio». Il maschio a quei tempi era sacro.Il maschio doveva assorbiretutte le riserve morali e siche della famiglia e dellambiente.Io studiavo: il primo anno di medicina. Volevo una laurea. La laurea per me avrebbevoluto dire una scrivania, un lavoro di tutto rispetto, un sorriso accattivanteper il cliente. Volevo fare il medico. Quando lui mi disse che da un dolore nascetragicamenteun suono, aveva ragione. Mi nacque unossessione. E lossessione diventò poesia. Bella, endecasillabica,perché mi fu anche vietato di suonare. E incredibile

latonia mentale che dà la mancanza della musica. E oltre al

bisturi mancato,alla medicina mancata,mi mancò ancheil mio adorato pianoforte. Così mi rimisi alla sorte. Andando a lavorare in via Verdi, passavodavanti alla Garzanti. Io, adolescente,pensavosospirando:«Un libro mio, espostolì dentro, chissàquando!» Dovetti aspettare trentacinque anni, e dico trentacinque. Allora andavo a rifugiarmi in via del Torchio. Forse sono diventata una poetessaperchédella poesianon mi importava un gran che; anchese ho divorato libri su libri, anche se il canto lavevodentro (ma era il canto della vita, e questo non lhanno capito). Essere donna di lettere non signicava per me non esseredonna, e avrei voluto essereanche una buona madre.

In via del Torchio io ho vissuto la mia prima societàpoetica.Per societàintendo dire che sul divano sedevogomito a gomito con i grandi della poesia, con la classedel rinnovamento letterario. Io ero troppo piccolaper capirecosafacesseroquei grandi uomini. Erba, sempreallegro e dispersivo.Pasolini,taciturno ma pieno di resistenzasica. Turoldo, dalla voce tonante e bellissima,che parevala reincarnazionedella «scapigliatura»redenta. Eravamopoveri, ma pieni di pazienzae con tanta capacitàdi assorbimento.Più che una scrittrice io ero la loro mascotte:giovane,taciturna, forse bella, con due anchi di cui mi vergognavoe che cercavo di nascondere.

Manganelli era un bonaccione.Mi sbriciolavanella scollaturadel vestito e rideva, ma avevaancheun sorrisotenero. Erba parevasemprein cercadi un aquilone che gli sfuggivadi mano. Schwarz,a un certo punto, mi proposela pubblicazionedel mio primo libro: La presenzadi Orfeo. Tutti mi volevano ospite ma io declinavo gli inviti. Ero molto attaccataalla mia famiglia. Molti mi volevano sposare,io optai per tre medici contemporaneamente,e non ne sposainessuno.E quando decisi di entrare in convento, credetti di aver fatto una buona scelta.

Eravamotutti traìcanti di merce spirituale. E gli intellettuali si nascondevanodietro grossivolumi per poter sbirciarele gonne delle belle signore. Ripensandoai trascorsiin via del Torchio, dico che sì, quelli furono tempi sereni,ma non del tutto, in quanto io non ero alla ricercadella poesia,bensìdella verità. Culturalmente appagata,scrissiLa presenzadi Orfeo.La presenzadi Orfeo è il lamento dellanimache si trova nellinferno idrico del corpo. Che non riesce a uscire dalle tenebre. Lanima che tende a rompersi, a mettersi in contatto con il divenire ma che rimane inspiegabilmenteferma nelle fauci di Pluto. Io sono ancora in bocca a quel misero cane. Questo cane lho chiamato maa. La maa è il sotterfugiodellinvidia terrena che ti colpiscea tradimento, che ha interrotto il suono musicaledelle mie

ombre.

Alle nove scattail marchingegnoSenon vado in psichiatria,se non mi assento,comincia a divorarmi langosciae mi muore lanima. Allora la vado a rianimare, ma per far questo metto in serio pericolo lavveniredel corpo, e quindi mi spavento.Due contemporanei spaventi non possonoesistere,e io tremo di vergogna. Mi chiedono spessoquanto rende la poesia.In denaro credo proprio che non mi renda nulla, ma a livello sico mi tiene in forma lintestino. Questa assurdaparentela, lungi dal commuovermi, mi fa arrabbiare. Si può dire che n dallinizio, n dal tempo dello sviluppo, questa dannazione mi ha perseguitato:un corpo così violento, prosperosoe disarmonico e unanima fatta di latte e di miele. Capiscoche queste cose non vanno daccordo.Quando questo equilibrio si guasta entra in ballo la psichiatria.Per far funzionare quella macchinaprodigiosache è lanima-corpodel poeta,bisognaandare in psichiatria. Anche il malato di mente ha il suo fascino.I malati di mente sono scivolosicome il pantano,comele sabbiemobili. Ci si muore dentro. E la malattia mentale è un mulinello che ti prende e tante volte non ti rende alla vita.

Questa donna che dopo il coito non vuole morire né esseresoppressaè la donna nuova dei nostri tempi, che lungi dal partorire il verbo lo pronuncia. La donna poetessache fa giustizia in nome del proprio eloquio e che gurativamente rappresentail linguaggio ha una sua gura: ha centralizzatoe vivicato questi segnidi cultura. Essendomatta anchio, diìdo dei matti. Se ci lasciamo giocare anche da loro, guriamoci dai benpensanti, sorretti dalle guardie, dalle discipline e dalle cartelle cliniche. Così diìdai per lungo tempo di Dino Campana,dicendo a me stessache tutto sommatoi Canti oici erano una dimensione periferica di Dino e che la verità centrale dellautoreconsistevanella follia. In realtà per il malato la follia è il suo centro di vita. Egli è sempreimpegnatonella lotta contro la sua ombra. Sì,certo, Campana fu sviato da ciò che dovevanoesserei suoi interessi.Mi è caduto locchiosu un passodove parla della benevolenzadelle assistentisociali:non sono daccordocon lui. Intanto questedonne non dovrebbero mai avvicinarsi a un poeta. Quando incontrano il poeta lo smembrano,lo studiano con cautela, lo valutano e gli danno un prezzo.Ma soprattutto gli fanno delle diagnosi mediche a scopocautelativo.

Campanaportato in mano dalle dame di San Vincenzomi fa veramentepaura. È lì che diventa

pericoloso:quando incappain sorgenti di malesserecosì acute e terribili come il perbenismoborghese. Anchio, come lui, sono stata manipolata da loro, da quella loro aria accorta e suìciente di gente perbene. In effetti questa gente ha in mente una cosa sola: il proprio benessere.Che i propri orari, persino quello della defecazione,non venganoguastati.Sonoloro che fanno il manicomio, ancor prima dei medici.

Selarte è una dura sostanza,percorrila in silenzio.Non troverai alcun uomo in fondo ad aspettarti. Né troverai lulivo della tua pacemigliore. Selarteè profonda cometua madre, ascoltalain silenzio:è lì che si muore.

È la mia religioneperennequellachemi costringea vivere,non la mia Poesia:quelladolcefanciulla

ossequiosaè ormai scomparsanei segreti della mia memoria. Ma quando la memoria ha segreti? Quando si «smemorizza».

Io vivo nellapertodellAnima. Io non ho più segreti. Castellidei miei silenzi,castellidei miei dolori, tempi di oscuremeraviglie.Cantanofuori i canti della notte spietata.E tu orisci dentro quelle spezieamarissimee sorde del ricordo. Perché mi hai fatto male?La prigione io lavevovissuta,e prigioniera mi hai rifatta con il canto dellamore. Allora ti dedico un canto,e dentro questocanto è comeun pugno la tua domanda quando mi chiedi: «Comèche sei trascorsadalla Veritàalla follia?»Non lo so, non voglio saperlo,è cosìbello perdersi. Esistonoanime così leggeree numismatiche che si chiamano sngi. A volte uno si addormenta e lentissimamenteperde lanima. Lanima è quella cosa nascostache sa di sudaticcio, che opprime e comprime e che di solito non si rallegra.Si torce e si dispera. Chi ha molto da rallegrarsi dellanima, lo dica, lo dica pure. Ma chi può rallegrarsi di un corpo assente?A volte lanima si capovolgee presentaun deretanotremendo. Quando lanimanitrisce, lo fa in modo clamorosoe non conciliabile con la massadel corpo. E poiché lanima nitrisce a dispetto del corpo, avvengonostranesimbiosicon la psicanalisi. Il pianto ingiurioso della malattia mentale non è pianto autentico, è pianto inutile. A volte pensodi entrare in convento,ma nessunafede si abbracciaperchéfuori non ceche il niente. Dio non è unalternativaallamoreterreno. Dio deve essereuna scelta,un tocco come di pianoforte di musica.Quando ti toccaDio, a volte inorridisci perchéfa anchespavento.Quando ero in manicomio,e vedevo lerbadalla parte delle radici, ero convinta (e ancora lo sono) che il grande tessuto,il grande arazzodella volontà divina lo vedano gli angeli, mentre noi, incamminati versolindolenzao il sacricio estremo, non comprendiamo nulla. Il difcile è accettareche persone disonorate e senza scrupoli facciano scelte per te che solo Dio può fare. Questo grande interrogativo se sia lecito strapparela volontà dalle mani di Dio, mi rende sommamenteirata verso luomo. E per questadomanda grande e inutile, sono statapunita. Ma io, di questo,mi assolvo.

Quando sono molto triste piango. Ho costruito una casadi sogno sopra il laghetto del Getsemani. Perchéproprio là? Perchéio adoro la mia religione e il mio Cristo. In quel luogo tranquillo ho costruito una capannamolto dolce dotata di aria e di miele. Lì vado a

vivereconlui. Ci stendiamo pianosul terrenoduro e sogniamo insieme.È bellosognare gli identici sogni, quei sogni che hanno solo gli emarginati e i lontani. Sogni deboli e forti come le anime dei bambini. Noi siamo nudi perché i vestiti non riesconoa coprirci: siamo buoni e siamo apprezzatidagli angeli. Esistono collane antichissime chiamate «le collane dei Profeti» e altro non sono che i capelli di Sansone,che danno forza alluomo qualora sia in corretto rapporto con la natura.

Sonomolto belle a vedersi,ma non le ha mai viste nessuno,però si sache esistono. Tutta la chiromanzia è alla continua ricerca del luogo ove sono sepolte. Queste collane sono talismani, e non giaccionoper terra bensì nellaria e sono quasi invisibili a occhio nudo. Senonchéa volte avverti un fruscio comedi qualcosache ti passavicino, e stranamenteesulti, e torna luomo amato, e la rosa nalmente si apre. Tu cominci a meravigliarti del mondo perché queste collane che passano nellariati hanno sorato. Tu cominci persino a benedire, e diventi benevolmentepazzo,come il Santo Francesco.E le negromanti e le cartomanti, che non sanno cosasiano,non le troveranno mai, perché questecollanevaganti sonole ali degli angeli. Cristo non ha voluto le esequie.Pensateun po cosadirebbero i becchini attuali: proprio per non dar soldi a loro, Cristo se ne è andato in silenzio,dopo essersimostrato in modo clamoroso.Ciò è giusto e sacrosanto.Naturalmente dico questo senzaaver intenzione di offendere la Chiesa.Per carità, le mie sono ridicolaggini di uno scrittoremaldestro. Anche pensareche Cristo non ha mai voluto un deposito bancario mi fa piacere.Signica che era effettivamente,oltre che glio di Dio, un grande iniziatore. Il glio di Dio doveva essereromantico, languido, stupendo, bellissimo. Ma che diavolo dico! Il diavolo e Dio non vanno daccordo.E come mai questoanticristo osò «tentarlo»?...Ma non avevaaltro da fare? Perchélo rovinò nella quarantenae nel digiuno? ...Mamma mia che confusionedi persone,di sesso,di astrazione...Il Cristo emergesì, ma è materno, e ciò mi fa paura: le suebracciaallargatee il suo petto ahimè senzamammelle... Ebbi una visione, un giorno, di un Dio che cadevapesantementedalla croce, mentre qualcosami avvertivache era loradi un terribile crogiolo artistico e spirituale. Fu come se un violento spodestatore del paradisoentrassenellEdendel mio amore. Una cosasimile dovette accadereal principio della creazione,quando Lucifero imperò su Satana.

La religione cattolica, a volte così piena di paradossi,riesce a rovinare anche gli intimi interessi delluomo, e la sua ricerca di Dio. Dio è libertà, e non è disonore. Dio perdona. Soltanto gli uomini

sonogli eterniaccusatori. Forseperquestoè natoil femminismo. È certochela donnaha un corpoin tutto simile a quello delluomo e che deve averela libertà damaree non solo di soggiacereai desideri maschili. Con questonon voglio dire che luomo sia uguale alla donna e viceversa. Ma nessuno deve misurarsi con Dio, bensì ricordarsi che Dio è sommamente misericordioso con chi

ha peccatoo trasgredito.Per la verità questo è il diario di una colpa non commessa.Ho sempreavuto abbastanzagiudizio per capire che certe condizioni vanno rispettate. Per questo ho chiamato i dieci comandamenti«i suoi dieci gli». Perchéil loro giudizio ha dannato lanimamia. Ci fu un tempo in cui pensai di esserepreda del demonio, ma non era vero. Credo proprio che il demonio ignorasseuna simile scioccache si era sovraccaricatadi veleno cattolico.Proprio scioccaperchéDio è libertà assoluta. Io sono stata tradita: non so da chi. Un giorno calò una nube grigia sulla mia esistenza.Una nube senzacolore. Diìcile che gli uomini possanomuovere il cielo, ma a volte si servono degli indovini per questo.Per via di calderoni, di serpi e delle streghefui mandata lontano dalla mia vecchiapatria, dove non conobbi più nulla. Fui sotterratain psichiatria.Per via dellonore,per via del potere. Il «diario»fu il mio passaportoper una follia densadi amore e di povertà. Io sono povera,soltanto lobolodegli amici mi consentedi vivere. In questoceromanticismo,ma io restofondamentalmentepovera,mentre vorrei

avere il mio segretodominio. Semi si tradisce,mi nascondonel groviglio delle parole e le parole sono siepiverdi e alte dove si acquattanogli onesti cerbiatti. Luomo è un cannibale che vuole assolutamentemangiare i propri simili, dopo di che esibisce clamorosamentele suemacchineelettroniche,le suelavatrici ultimo modello, i computer e tutto ciò che chiamaprogresso(e che io chiamo carnecina). La schizofreniaè fatalmentela scissionein due dello stessosoggetto.Io fui tenuta isolataper quindici giorni, il che mi procurò un terribile esaurimentonervoso, unito alla paura. E la paura è nellanimo umano come un deserto.Si avviò cosìun processodi decadimentoe retrocessionedella mia personalità poetica. Lio si dissolsein tanti piccoli frammenti difcilmente riunibili se non tramite lanalisi. Lio, sgretolandosi,instaura la presenzadi un uomo, una forma duomo negativa che si chiama il trauma

iniziale.È la gura dellaggressore chevienea torceregli inguinidellapotenzapoetica.Nacquecosìil mio grande dislivello e lincapacitàdi riunirmi se non attraversoun portentoso aiuto. Invece di questi, trovai per la secondavolta la struttura manicomiale.Altamente negativa,inutile e distruttiva. La mia schizofrenia,tanto conclamatadai critici, altro non era che lepilogodi una storia funebre vissutaallombradel grande sinistro di una tragediainfantile. Una memoria non visibile ma acutamente trangugiata dallinconscio che poi esprime questa preghiera di liberazione in lunghe lamentazioni poetiche. Lanalisimi servì molto afnché la messaa fuoco di questaatmosferadi desiderio e colpa si sciogliessenalmente in un avallo di esistenzache dovevapoi risultare per lo meno accettabile. Incredibili le malversazioni, gli intrighi, i compromessi cui ricorrono gli operatori dei Centri Psichiatriciper far caderein trappola lammalatoche parla, discute, denuncia. Lammalatoè colpevole: tutto questoper loro è sapienzapsichiatrica.Tutto questoper me è crimine.

Sonoa confrontoconquattroterribili psichiatri.È cominciatoil processo.

In che cosaconsistevoi non lo sapete:ceun tribunale interiore sopra cui siede invariabilmente la psichiatra «amica»che ti impone la sua legge.Gli altri valutano le sue supposizioni.A sinistra hai una psicologaocchialuta, sostenutada uno psicologolimbico. A destra hai luniversaledirettore del C.P.S. Più sotto hai quattro infermiere. La legge viene da lei, la psichiatra amica, sempre puntuale agli appuntamenti. Ogni giorno sali in croce. Ti tengono qualche ora, ti depongono,ti vestono bene, ti danno la mirra per via orale, ma sbaglianoquasi sempre.I magi non compaionomai. La resurrezione

non avviene.Il processo non ha leggidivine,né umane.È un processo a portechiusee diventadi dominio psichiatrico. Tu proponi un amore. «Di che tipo è?»ti dice il medico. «Del tipo più conveniente»,rispondi tu, «anzi,a dire la verità è del tipo più assolutopossibile.» «Non esistelo spirito>>, interviene la psicologa,«veroinfermiera?» «Sì,difatti lo spirito non esiste,allora voi sietein delirio.» Le cinque capoccedicono di sì. Tu azzardi:«Cosadovrei fare?» «Fatti fottere», grida un pazientedalle quinte, ma viene subito zittito. «Dunque, come le dicevo,lei ha una ssazione damore.Non esistonosentimenti contemplati nella nostra psichiatria.Le va bene?»

«Certamente»,dici tu con paura e disdegno. «Bene,qui rientriamo nella normalità, altrimenti le coseprendevanouna brutta piega.» Qualche volta mi dibattevo sul pavimento.Sembravouna strana biscia che divorassei propri visceri. Piangendodavanti a uno spentotelevisoregridavo: «Dio, fammi giustizia!» Ma non ho mai capito di che tipo di giustizia avessibisogno, perché la sola persona che non mi assolve SONO IO.

Lui voleva ripagarmi dei tanti anni di sofferenza.Io invece già 10 amavo. Un giorno si mise in contatto telefonico con me, forse su suggerimentodi altri, forse sinceramenteammirato: questo è un punto insondabile della nostra storia. Poi le sue parole diventarono semprepiù roventi, e io nii con lincendiarmi, dando a mia volta libero sfogo alle pulsioni di amore che avevo trattenuto per anni, prima per il manicomio, poi per la lunga e tragicamalattia di mio marito.

Io nacqui destinata a soffrire. Mi auguravo di morire. Ma la vita fu feroce: mi lasciò sopravvivere. Quando mio marito morì, e io ricevetti dei soldi dallUniversitàdi Pavia,piena di dolore ma anche di amoreper quel grandepoeta,partii per Taranto. Credevoche il Meridione fosseuna terra retriva: mi ero fatta unideastranavedendo i piccoli poveri meridionali del Naviglio. Taranto era piena di canto, melodia e sole. Poi ceraLui: bello, alto, austero, silenziosoe temibile. Ma io non lo temevo.Due poeti non si temono mai, perchésannoche sotto la loro forza cèuna vulnerabilità cosìsilenziosada far pensareai sottofondi marini. Lui voleva aiutarmi e ripagarmi di quegli orribili anni. Si rendeva conto di quanto avesseropotuto essereduri e alienanti. E sempreLui avevanotato la fede con cui li avevosopportati e vissuti in quella tenebra che è la follia. Come ho già detto, il Diario, scritto ventanni dopo, non è verosimile in quanto gli orrori sono stati dimenticati e rimossi. Tutti noi, quando viviamo un momento terribile della nostra

esistenza e poi lo superiamo,tendiamoa dimenticareil malepatito e ricevuto.È un pola soluzionedel

parto, un procedere siologico molto bello: se tutte le madri dovesseroricordare quello che hanno patito durante il travaglio, non ci sarebberopiù gli. Di fatto la natura è assai provvida e ci fa dimenticareil momento peggiore. Lui era anche molto discreto. Quando soffriva non lo dava a vedere: aveva un sensodel pudore medico quasi eccessivo.Io gli rimproveravoproprio questo:di volersi gestirea tutti i costi senzail mio aiuto. Si sentivainferiore a me dal punto di vista vitale, ciò lo rendevatriste. Mi accompagnava per ogni dove per provare a se stessoche era ancoragiovane.Questasua fatica mi rendevafelice perché sapevo che così avrebbecompostole migliori poesie:non esistepoesiasenzaun enorme sforzo sico. Eppure questo sforzo poteva minare la sua salute, come avevo fatto io con la mia. La poesianon è solo una

missione: è anchee soprattutto un lavoromanuale.È soloattingendo alleforzedirettedellanaturache si arriva alla contemplazione. Entrando nella sua famiglia ero entrata in un nobile casatodove la colpa è assentee diventa semmai superstizione.Laccettazionedi canoni famigliari vige a livello di scalpelloligneo sopra ogni volontà terrena. Ero nella sede degli idoli. Nella sede ancestraledove le passionivengono accettate,vissute e sognate.Un giorno gli lessiuna poesiadamoredove lui avevasessantannie lei trenta. Piacquemolto a Lui. Amavamo i suoi gli. Io che non avevomai potuto vivere con i miei avevosperatoche quella fosse nalmente la mia famiglia. Adoravo quei gli bellissimi e ne ringraziavo tacitamente la madre che li aveva creati così forti e uniti.

Lui era un grande poeta. Scomparivanel suo studio dove restavaper ore in tutto silenzio; dopo veniva nella mia camera a leggermi le sue poesie, chiedendo il mio parere: quegli anni vissuti in medicina avevano messo crudezza ed ermetismo nel suo linguaggio e tuttavia parlava una grande

poesia.

Io lho amato.Ci siamo amati tanto e siamovissuti beatamenteluno dellaltro.Ma questainfezione damoreun giorno qualcuno volle guarirla, forse per mano di un cerusicosaccenteo di qualche maga ben pagatache capovolseil bene nel male. Si può dire che la mia vita sia stata costellatada grandi maledizioni. Se è vero che gli astri possono qualcosasulla nostra esistenza,ebbeneci fu un astrofunesto che governòla mia vita. Lui non era bello, ma avevala bellezzadel saggiolungimirante. A volte si sedevaaccantoa me, nel pomeriggio caldo, e prendeva a parlare. Il nostro letto era antico, molto trascurato.«In questo letto», solevadirmi, «sononati i miei gli.» Non ho mai spostatoné riammodernato quel letto. In quella casanon portai mai alcuna modica: sapevoquanto Lui tenessealle sue cose. Mi raccontavadi C., luccellogazzache gli scioglievale stringhe delle scarpee che rubava pezzettidi vetro per portarli poi in un suo nido nascosto.«Sai»,mi diceva, «me lhanno ucciso.»Io potevo capire come quelluccello a nessuno dicessenulla mentre per Lui signicasse un poco la sua anima, che derubavala realtà per andarla a depositarenel mito. Erano le ore più belle, quelle che passavamoin completasolitudine, stesisul letto, mano nella mano. Mi raccontavaamaramentedi cosepassate,ma mai giudicavagli altri. Quando io azzardavolipotesiche qualcuno potessenuocerci o agiremale, mi diceva:«Staizitta, Dio conoscetutti i nostri misteri». Mi dispiacevaquando tentavadi discolparsi:io non trovavo in lui alcun peccato. Avevo sentito dire che da giovaneera stato cosìardito da sbalordire. Andavamo qualchevolta al mare. Di fronte a quella distesaenorme gli dicevo: «Provaa immaginare quante meraviglie sommerse,e quante cosesi creano e si distruggono a vicenda nei visceri del mare». Mi rispondeva:«Sulmare sononato, ma mi sentomilaneseormai, il mare non mi interessapiù». Intanto lo scirocco,avvincentecome una mano calda e stordente,a volte diventava insopportabilee la vita scorrevaal rallentatore: un lm a volte squallido, a volte sommamentevivace, ma sempreun poco sinistro.

Ma quel sole di Taranto altissimo,che giungevaa inltrarsi sotto le palpebre,richiamavaa una vita ormai spodestata.Quel sole indecente e profondo, quel golfo aperto a ogni possibile espansionedi amore! Come tutto era bello e grande, e soprattutto lamoreper Lui. Quando insieme giungevamoal cospettodi Dio, ci disintegravamonella poesia.Al tavolo dei bar sedevamocomedue re. Ci guardavano tutti. Forsedi me sospettavanoche fossi una donna mercenaria:delle donne del Nord, nel Meridione, la concezioneè questa. Il Sud avevamutazioni repentine di clima, passandoda un freddo intenso a un caldo cosìepidermico e voluttuoso da far venire in mente certi mutamenti siologici e ambientali a livello altamentepsichico. Io ero particolarmente maldisposta a queste mutazioni. Sono una donna che ama la continuità, specialmentela continuità delle sensazioni.Quei cambiamenti fuori e dentro (per meteoropatia) mi facevanodiventare impaziente.Dalla sua casaavrei voluto uscire, ma più che altro avrei voluto uscire da me stessa,mutare pelle. Era il momento delle scopertestrane: a un tratto capivi che in te si era aperta una crepa sotterraneache a volte sprigionavagasveneco e sulfureo. Ti avvicinavi allinferno. Allinferno e alla conoscenzadi Dio. E dellIo. Incontrare lIo è come sdoppiarsie fare il gioco di una

morte supremae priva di ascolto.Nel Sud avevo dunque incontrato il mio doppio, che poteva essere Lui, ma anche un richiamo sentimentaledi cui non conoscevoné loriginené la morte. Un piano di conoscenzaquasi diabolica, 0 uterina che dir si voglia, che io difcilmente riuscivo ad argomentareo esprimere.Mi aiutavanomolto la sua pazienzae la sua perizia. Dopotutto, con quel matrimonio avevo messo in discussione

lintera mia esistenza.

Forse non fummo mai felici, ma forse lo fummo troppo. Gravitava su di noi come unombra imprecisa, lombra di una colpa sommessa,lombra che schiavizzagli uomini. Lui soleva ripetermi: «Siamocome i due polli di Renzo,legati a una stessacorda. Chissàchi è che ci sbatacchiasul tavolo senzamisericordia».Il cappio era la poesia.Il tavolo, la nostra sostanzadi uomini. Soprail nostro letto cerauna crepa paurosa, residua di un vecchio terremoto tarantino. Lavevanolasciata così perché ricordavalorrore di un tempo nascosto.Pareva,quella crepa,rieducareunepoca. Lui si alzava allalba, frugava fra le sue carte e spariva nel suo studio. Io ero tranquilla. Avevo compiuto il ciclo della mia vita, avevoscritto il Diario.

Quando venivamo a Milano, era felice come un bambino. Prenotavamouno scompartimentoletto e ci chiudevamo allinterno sognanti, desiderosi damore. Che tempi felici, quelli. Erano lunghi, interminabili viaggi di festa. Di solito io dormivo di sopra,per dargli modo di scenderecomodamente dal suo lettino. Lui era anziano,e ogni volta che si svegliavami facevaun sorriso quasi a dire «scusami se ti disturbo>>. Tenevadocchiola sua giacchettaappesaalla parete.Non si guardavamai allo specchio: di solito lo pettinavo io. Quei pochi capelli rimasti sulla sua testa ormai quasi completamentecalva mi davano una tenerezzainnita. Pensavoa quanto doveva aver sofferto quella povera anima nella sua lenta e difcile missionedi medico. Mi mostravaaudacementela mano che portava lanello nuziale e mi diceva: «Questanellonon ce lo toglie nessuno>>. Ce lo tolsero invece a entrambi. E ci divisero, scindendole nostre due anime comesedividesserodue gemelli con un solo, pericolosocolpo.

Lui mi vedevagiovaneattraversoil suo amore e la sua conformazionedi poeta. Mi chiamava«tesoro di papà>>. Era a volte amabilissimo,a volte burbero: io non riuscivo a comprendereLui ammalato.Lui che si ergevasemprebattagliero di fronte a tutto. Il nostro era un matrimonio riuscito, un matrimonio di amore, di amore vero. Poi un giorno si impuntò: volle farsi operare.Fu uno sbaglio.Voleva essermi sposoa tutti i livelli, ancorami addolora che non avessecapito comeper me fossecomunqueluomo dei miei sogni. Nel Sud luomo tiene molto alla propria virilità. Noi ci facciamomeno caso,nostro marito diviene un po anche nostro glio e tale avrei voluto sentirlo. Ma avevainvecepresoil ruolo di padre e di sposoamabilissimopur sempre imperante. Difcile per un poeta sottomettersi a qualcuno. Forse avremmo dovuto accettarcicosì,con le nostre debolezzee il nostro sensodi supremazia:eravamodue anime forti, talmente forti da sdare lintero universo.

Lui era avaro di sé, io ero assetatadi scoperta:non mi facevapartecipedella sua scienza(o forse era semplicemente stanco). Ma ogni giorno nel tabernacolo della sua biblioteca, nel suo studio, si discolpava. Mi domandavo a volte cosa lo tenesse in pugno: quale sospetto, quale colpa, quale indecifrabile mistero dellanimariuscissea capovolgerloquando varcavai limiti della sua onnipotenzadi padre. Aveva dieci gli, che conoscevanoil possesso del saperee i segretidella scienzadel vivere. La «porta chiusa>> era quella che avevanorichiusa alle mie spalle dopo che mi avevanoseparatoda Lui. Da allora quella porta fu chiusa per sempre,perché, in seguito alloperazione,rimase in stato di

incoscienza, forse in stato demenziale.

Io non volevo che andassein chiesa per discolparsi.La sua era diventata una sorta di religiosità perenne che lo asssiava.«Ora sono io la tua compagna,e Dio è con noi>>,ma lui seguitavail suo monologo infelice che lo deliziava,comeSanFrancescoera deliziato dalla propria povertà.

Una volta gli dissi che era inutile colpevolizzareil male o qualsiasi persona. Lui era dello stesso parere. Diceva che il destino era lunico artece. In seguito la mia dottoressami disse che una sola medicina può guarire, ed è la vita. Ma la vita per me non vuole diventare un buon medico, e quando la vita non entra in questottica,riescesoltanto a ucciderti. Tutti noi, al «Centro»,siamo dei malati di vita, dei nostalgicidi vita. La mancanzadi denaro, amore, sesso,sono dei pretesti. Manca la vita. Questasera,durante una trasmissioneradiofonica, un Padreha detto: «Cristoè stato la grande liberazionesessualedel cristianesimo».E così,Cristo ha liberato il sesso. Gli ha dato una dimensione non esoterica,ma umana. Amare Lui, con tutta la passionedei miei cinquantanni,era già grande cristianesimo.Soltanto le dure malizie ci hanno visto altro. Era il grande cristianesimodella Maddalena, di SantAgostino,di San Francescoe di tutti i santi che hanno amato e che non possonogiusticare la morte spirituale quando manca il dolore che lo sostiene.Amarlo voleva dire desiderarlo.Amare Cristo vuol dire ingerirne il corpo: lui che il sessolha patito e lha superato. Somigliarea Cristo signica superarequesta dimensione umana miserabile,terrena, che però è anche innegabilmenteamore.Dimensioneche è statavissutae violentata dalla santità di Gesù. In altre menti ciò gurò comevizio. Si parlò di blocco sessuale(e cosìne parlarono nella psichiatria). Io parlo invecedi un blocco damoreche, non trovando più la sua rispondenza,non vuole più amarela vita.

Già, Lui era imperfetto, e questo mi faceva piacere. Mi faceva piacere constatareche soprattutto avevo sposatoun essereumano. Ho sempretenuto in poco conto la cultura intesa come cosache fa crescereagli occhi degli altri e alla loro considerazione.La cultura non deve meravigliare che chi lapprende,e mai gli altri. Lui era depositario di una sapienzaenorme che però taceva,quasi sempre vergognosodi esprimerla.Io lo rimproveravoper questo. Mi hanno diviso in modo ignobile dal mio amore. Sonostati i braccianti agricoli del pensiero.Noi ci amavamomolto. Eravamo due poeti liberi, liberi in ogni tempo, in ogni stagione.Ci amavamoal di fuori dei sensie oltre i sensi,malgradoil nostro amore avessetutti i caratteri della passione. Vige nel Sud un che di antico e misterioso,una memoria calda dei morti che fa sì che tutto ciò che essi hanno toccato diventi sacro.In questo sensosi potrebbero fare degli studi a livello di demenza amorosae pathos ancestralediìcile e immondo. Anche Lui venne catalogatofra i morti quando era ancoravivo. Ma era un semplice,era un sempliceche non poteva crederenella cattiveria dei gli, come io ancora oggi non possocredere nellindifferenza dei miei gli malgrado abbia fatto due anni nella desolazionepiù assoluta.Semia glia fossevenuta a prendermi nella psichiatriadi Taranto,quando ero disfatta dallo spavento e dalla malattia interiore, non avrei fatto quel duro, doloroso calvario di solitudine e di nemesiseconda.E ancheora, ogni giorno è un lavacroal centro di igiene mentale. E seè pur vero che la mia dottoressami ha tratto da quella terribile ansa di dolore e di ignominia che è la

psichiatria di Taranto, è anche vero che, dopo, il mio recupero è stato talmente lento, diìcile e dolorosoda portare a una secondafollia. Seio sapessiche Lui è morto, mi coprirei di ceneresospetta.Ma spero sempreche egli si ripari qui, nei miei ranghi, e intanto maledicola sorte,perchéio so che non è vivo. Ma non si arrende del tutto la ragione, e così, nel groviglio dei miei pianti, tengo viva limmagine del mio Grande. O gli miei, se capissiche è morto perderei del tutto il senno mentre io, quando mi scaldoin un abbracciodi follia, non mi arrendo. E questoè il mio dolore. Ciò che ho passatoin questi due anni di totale isolamento,in cui mi sono raccoltanella più moderna e lussuosapsichiatria dellanima, lamentando il mio amore distrutto! Considero le mie opere mal pagate.Tanto male che mi hanno fatto riprendere in mano la penna. Un male cosìsico e terribile che

ognitantodebbochiamarelinternista. È venutoancheil buondottorR.,ma forsenessunoha avuto ducia nel mio povero corpo annientato dagli effetti veneci dellamore, che quando viene bruscamenteeliminato si ripercuotesul soggettocon un inguaribile e stregonescocolpo di ritorno. Rinnegaila mia casae la mia esistenzache mi avevatolto luomo amato. Rinnegaila vita che aveva lasciatoentrare la morte nel corpo di Lui. Rinnegaipersino Lui, che lavevapermesso.E questafu la mia fatale astrazione. Fu la mia follia, che mi spinse allomicidio più terribile: quello della mia vita medesima.

Nellimpatto dellarealtàconla vita,emerge sempre un amorecrudele,costante, assiderato dalgelo.È Lui che emergedalla penombra,è Lui che vuole il silenzio,ed è ancoraLui che vuole il delirio. Come non costruirgli unarcadi delirio serenae inaccettabile? La psichiatria mi vuole distruggere,vuole distruggereil corpo delleros,e lerosha le ali magniche della mantide religiosa. Ora, nel ricordo di Lui, la religione diventa dannazione, il Cristo diventa esecrando.E Lui non è morto, perché se fosse morto io cessereidi scrivere.E cessandodi scrivere cessereidi fornire argomenti falsi a chi mi vuole inseguire. La porta chiusa che si vuole aprire sulle insuìcienze, sul mistero, sulla grande mitologia greca entro cui Saffo cantò la sua solitudine e il suo desiderio damore, rimane eternamente scontta e nellassurda violenza dei dieci tentacoli damore io

sonoperdente,perennementeperdente. Esistonoforme di malattia e di amore cosìavvolgentida far pensarealle dita prensili della piovra. Per questoio soventeparlavo di paura. La paura labbiamonellanima,ed è il concertodelle nostre streghe e dei nostri riti mnemonici che a volte possonoprodurre un miracolo, o un distruttivo circuito di pensiero.

Io mi ero innamorata, ma in modo così distruttivo e totale da perdere lidentità. E quando mi sottrasseroLui persi anche il principio del mio amore, il che signica, virtualmente, perdere la ragione di vita. Di questonon sapevochi incolpare,e io ero già talmente impregnatadi colpa che altri pesi non avrei potuto sopportare.Mi addentrai così,quasistupidamente,nella psichiatriatarantina. Non sapevoche dopo la leggeBasagliai manicomi fosseroancora aperti: nel Sud ne esistevauno in piena eìcienza. Io avevo scritto il Diario. Il Diario era stata una battaglia contro i soprusi della

psichiatria milanese, contro gli abusi che si facevanosui diritti dei malati. Il delirio è il concetto di libertà delluomo portato alla sua massimaesasperazione.Nel delirio il paziente diventa bambino e diventa soprattutto un alieno, nel sensoche si mette in contatto con altre libertà spirituali. Quando mi dicono che sono una stregaio rido. Quello della stregaè un concetto medioevale.Dovremmo invece parlare di iniziazione al dolore, perché il dolore inizia in modo straordinario a ogni tipo di conoscenza Lospedaledi Affori era stato una buona scuola.Anche ora che è chiuso continua a vivere perchénon verrà mai chiuso allinterno

delle nostre menti.

Il malato di mente patiscepersecuzioniinnominabili, non si sa bene perché. Ha un po il ruolo del santo nella societàattuale, nel sensoche si presume che egli, rarefatto dalla propria follia, non soffra come tutti gli altri. Sapesseroinvece gli esterni che cosasuccedenella povera mente del malato, quali malezi e imbrogli opera a suo carico la malattia mentale! Del tutto ignara della malattia in questione, la gentegiudica di primaria importanzaandarea far spese,curarela casae fottere. La morte di Lui traduce in sintesi la morte dellanima. Era il mio amore, la mia speranzadi risurrezione medesima. Del Diario di una diversa, fu Lui a dare il titolo LAltra Verità , intendendo

con

questoche la verità del malato è comunque presentee accettabilee che è la sua verità senzapossibilità di equivoci. Cosasuccessedi orrendo in quella psichiatria non lo so. So che ci andai spontaneamente, quasi guidata da un destino avverso.Fui trainata là, ricordo, da qualcosa.Come da unistanzaprecisa. Listanzadi un capoversoche ti obbliga ad andare a capomi avevatradotto in quellorrendapsichiatria. Mi ero ammalata proprio quando Lui aveva cominciato a star male: non potevo accettareche una secondamorte mi prendessedi mira. Lui gemevasempre. Dalluscio chiuso della mia stanzaudivo i suoi urli, talvolta tormentosi. Non potevo intervenire direttamente e poco conoscevoi suoi medici curanti. Sapevoper certo però che, essendoegli stessomedico, non poteva sbagliarela propria diagnosi.Solo che non me la comunicava,e questonon sapereche cosagli stesseaccadendo,questanon ducia in me, mi esasperavagiorno dopo giorno.

Quando chiusero quella porta, a Taranto, chiusero anche la porta della mia ragione, e per tanto tempo non potei più prendere in mano la penna.La porta chiusa sarà il titolo del mio prossimo romanzoche forseverrà pubblicato. E io sonoviva, dopo questi due anni di dolore, e Lui è morto. Laggiù, nella psichiatria di Taranto, i medici mormoravano: «Non riescea capire che non lo vedrà più». E io lo cercavo,lo cercavodappertutto, strisciandosul pavimento, gridando come per dolori di parto altissimi e dicendo: «Dio, fammi giustizia».I frati mi hanno aiutato. Un Padremi disse:«Non sia come la donna del presepe, spaventata mentre guarda la natività. Vada avanti, anche lei può concepire».

Questi cari padri, così fervidi, lieti e pieni di sentenze.Ma la porta, la porta della demenza, era semprechiusa. Io mi riuto di credereche sia morto, vado a cercarlo.Sonomalata, ma non mi curo, perchélui per me è il solo medico.

Un giorno scappodalla psichiatria tarantina e vado sotto le sue nestre. Lo chiamo. Sentosua glia che dice: «Papà,tu non la puoi curare,anchetu sei malato, dimenticherà».

Tornai con il cuore straziatoa chiudermi in psichiatria. Anche Rocco,il portiere, vedendomi aveva abbassato la testa.

A trentanni si muore damore.A sessantadi lunghe attese.Nessunaetà ha un vero «trionfo». Ma forse, non chiedendo mai nulla, ci si arma di una parola, ed è allora che scattaimprecisolarco della vendetta.

Quando persi Lui, non fui nemmeno chiamata al suo funerale. Hanno semprecreduto che lavessi sposatoper interesse,ma non era così.Lo amavo,ed era naturale che pensasseal mio avvenire. Lo cercheròper nudi sentieri. Lo cercheròoltre la morte, oltre i paradisi perduti. Io so dove abita: è entrato

in simbiosi con la mia mente. Due menti diverse diventano

una mente folle.

Lamore più non mi consuma. Latmosfera di morte è preparata con dura senescenza.Mi accompagnail suo feretro lontano. Le coefore spente del mio cuore gridano atroci dentro la paura. Ahimè, quale dolcezzapiangere un Meridione di fontane! Piangere Lui che mi somiglia un poco! Benedicola suamorte di poeta. Oggi mi sonolaureata.Ho presola laurea del sogno. Lesattoredei sogni ha in mano i biglietti della partenza. Quando mi darà il mio? Siamo in tanti, aspettiamodi prenderequel treno. Fora questobiglietto. Dimmi che Lui è vivo.

Ancora oggi sono in cura da uno psichiatra. Non riesco, non voglio più guarire. Aspetto Lui, inconsciamentelo aspetto.Il dottor S. un giorno dissesottovocea un altro medico: «Non riescea capire che non uscirà più». Pensavanodi mandarmi in una «casa-famiglia».Io non opponevopiù resistenza. Mi ero svegliataal mattino riconoscendosullocchiodestro quella crepa terribile che avevo già visto durante il tempo dei miei precedenti ricoveri al Paolo Pini: una sottile ruga che denotava la malattia mentale e che sempreaccompagnavale mie ricadute; quella mattina era riapparsaindelebile sul mio volto.

La mia dottoressadetesta i traumi, ma il trauma è necessario,è sperma di favola, circoncisione damore. Poiché ho un trauma, sono un mistero.

Sono tenuta nelle loro mani colme di desiderio e di passione.Non possosfuggire,e la loro avidità sessualeè tanta comela loro paura. Solodallanimapuò nascerelangosciadel desiderio,e il desiderioè paura limitrofa, profonda comela calunnia. Perciòvenni calunniata.La calunnia è desideriodi infamia. Linfamia, nel Sud, è sesso,in quanto non esiste la carità dellamore. Tutto ciò che è amore, benevolenza,pace e perdono, tutti i sentimenti evangelicivengono travolti dalla ilarità feroce del Sud che è un giugno senzaombra, che è la catastrofedella parola. Io ho amato Lui come Maddalena ha amato Cristo, lavandogli i piedi, esecrandolo,perno sacricandolo al mio stessopiacere.Lho amato in tutte le sue debolezze,perchéogni poeta è un debole e un pavido e un coraggioso.Ogni poeta è ricco della ducia che dà al destino. Per questo Lui si afdava agli eventi: non credevaallarbitrarietàdelluomo.«Luomonon ha potere né sulla vita né sulla

morte>>, diceva.Si lasciavatrascinare,scorrerecomeun grandeume, e lì cera1asuapericolosità.

Tornare sul Naviglio dopo quattro anni dassenzami è stato più che doloroso: disumano. Essere sradicatadal proprio ambiente, non trovare più radici, né patria, né letto damore.Quel letto di tacito desiderio, il letto delle nascite, a Taranto, è stato buttato (per eufemismo) e sono tornata al mio, diventato letto psichiatrico.Le bende che mi fascianosono terribili e gementi e da due anni evado solo per ritornarvi.

Il Naviglio, stanco, riottoso, difcile, antico, stracarico, colpevole, puttanesco, drogato di sogni, ritoccato dalla mano sapientedel consumismo,oggi sembraunallegraprostituta ballonzolona.Ricordo invecele pietre nude, i paradossalimomenti della follia, le bestemmie,le cicchedelle lavandaie,i miei gli che languivano nella fame, le autoambulanzeche mi portavano via e mi riportavano indietro a secondadegli umori. Le turbe dei miei scolari, il mio pianoforte. Le canzoni libere, gli osanna dei demoni. Il tavolo vuoto di amicizie e lansiadi una madre che stavaper partire per un eremo e ne era consapevole.Quanto amore e solitudine! Quale sparuta angosciain quella divinazione fallica che nemmeno la chiesapoteva sciogliere!Il Naviglio, struggentecome una lacrima. Il mio viso, una grande lacrima del Naviglio. La gente al mio ritorno mi ha riconosciuta,soppesata,dileggiata,offesa,respintae riaccettata.Dovevo chiederescusaa ogni donna di malaffare,a ogni lavandaia,a ogni ostedi essereuna poetessa. Quante volte tornai in questacasacon in boccaun ramoscellodi pace.E quel ramoscellodi vita mi era stato consegnatoalla porta di un istituto manicomialeinsieme con la colomba che lavevaportato. Una colomba che aveva il ventre gono damore e voleva generare. Generare allinnito, ma consapevoleche le sueuova sarebberostateaperteda una mano nemica. Inne un giorno la risaccadi Taranto buttò sulle bianche rive del Naviglio un corpo quasi morto. Nessunomi ha raccolto.Qualcuno mi ha dato un calcio proprio sotto il costatoe mi fa male il cuore: una ecchimositremenda che penalizzail plessosolare.Così, doppiamentepesantedi spazie di ricordi, ho aperto un cancello.Dovrebbeessereil cancellodi uno stabile,in realtà è quello della nuova, segreta psichiatriapoetica.In questi due anni non ho imparato nulla. Ho tentato di far breccia nel cuore dei giovani, ma i giovani hanno pulsioni carnali non consentite agli anziani. Un corpo che ha generato,che conoscelunzione del coito, un corpo che ha sentito un palpito di vita e che si è abituato al semedelluomo non può dimenticare. Anche se abita sul Naviglio, sommaalgebricadel consumismoitaliano, Brera rinnovata e spenta.Guardo le vedove affacciarsilungo la darsenariammodernatacon altri intenti segretiche non la contemplazionedegli altri. In quelle acque di solitudine molte donne hanno gettato con forza il ricordo delluomo che hanno veramente amato. Donne che ogni giorno uccidono il dolore per sopravviveree che, come paradossaliassassine, vengono accusatedai gli. Non avrei mai creduto che un giorno altri avrebberoletto ciò che ho patito. E mentre scrivo questo, nella casasul Naviglio, quante lacrime. Lacrime che arrivano comecaprioli violenti. Vivere a Milano è sommamente difcile. Dopo quattro anni di lontananza trovai una Milano stravoltadalla setedi progresso.Non mi ci riconoscevopiù. Il Meridione è caldo e accogliente,sempre pronto a tendere una mano. Non esiste,secondome, quella povertà tanto decantatanei libri. Inoltre credono nella natura. Milano è fredda e abusiva,anche se la città è un vero impero. Io sono nata qui, ma a Milano ho patito la miseria, lalienazione,lemarginazione.In psichiatriami chiamano «zoccola»e non ricordo

di avere tradito

mai mio marito.

Questi due anni di prigionia non hanno soluzione di memoria né di canto. Perduti nella nebbia di una Milano provvida damore,non ho una giacenza,non ho amore. Nessunomi ama, e ancoranon mi

reggo abbastanzaper ben saperecome questi due anni hanno una memoria: quella di un fulgido cantore. Ero dentro la nebbia del destino. Perché prendere un torbido colombo che piano si riposa sopra un ramo?

Ahimè, madre, le bugie contorte che hanno fatto di me una traviata damore e mi hanno fatto morire.

Ahimè, madre, ogni volta che mi hanno unto hanno toccatoil tuo cuore: gli untori della malizia sono così. Ma la vera voce che diluvia nellalba, il canto della mia nascosta innocenza, era soltanto la tua

parola. Tu eri la mia parola. Persinotu, tutto il mio male sico. Morsicando la mela del peccato,hanno trovato me disposta a difenderti come il corpo difende il respiro. Madre, ogni volta che mi hanno trattata male, ti hanno respintanellombra. Come ho fatto a dire che tu non eri sferica,mentre tu eri perfetta! Come ho fatto a tradire il tuo golfo, io che ero la tua nave leggera! Come ho fatto a non condarti il mio amore, quando lui mi tradiva!

Eri tu il secolodella Madonna. Pregandote io la pregavo.E quando scalrono la mia nascitacon la visione del male, madre, colpirono il tuo indomabile seno. Mia madre era come una tigre e protessepersino i miei gli. Ecco,madre, ti debbo questo:la accola divina della mia voce. Chi ha osato,offendendo tua glia, offendere te, sublime leonessa?Tu abiti in forestevergini, ora. Tu sei la solalungimirante.

Ma un giovane, un santo giovane, un giorno, madre, mi ha baciata sul cuore, là dove sanguinava pesante.Un santogiovanesenzamalizia ha capito che non ero nel dubbio e che ero stataferita a morte. Questo giovane si è chinato su di me, come Maddalena con i suoi lunghi capelli, e ha lavato la mia grande piaga damore cresciuta solamente per il Cristo. Per questo atto damore ho dimenticato lempietàdel mio uomo che mi ha fatto tanto soffrire. Anche questoglio è stato tuo glio. Ha raccolto le mie povere carni buttate nei relitti della Ripa e le ha unte di santo perdono. A questo glio, madre, dedico la tua memoria.

La tua innocenzami ha salvato.Soltanto tu potevi toccarmi nel vuoto del mio nero peccatosenza rimanerne

offeso.

La psichiatriadevolvevagli oboli delle mie malattie ai sapientie gli editori alle loro tasche.Ma tu non hai voluto nulla. Hai baciato questacarne rugosacome fossecarne fanciulla. Tu sei il nostalgicoOrfeo. E allora, per questo atto di amore, ti auguro di diventare santo oltre i conni della terra sparita in Palestina.

Ora che piango damoreper Lui, lo cercoe vorrei domandargli: ,ed egli mi sgridò come una buona mamma.

«Sapete,padre»,continuai, «sonovenuta perchévorrei un figlio.» Il padre era bello, con un incarnato roseo che facevapensareal paradiso.Citando una mia vecchia poesia, dissi: «Gli inguini sono la forza dellanima». Probabilmente alla parola «inguini» il senso religiosodel santopadre si sconvolse. «Figliola»,disse,«voletedavveroun figlio?» «Sì, con tutte le mie forze.»

«Lavrete.Sepensatea SantAnna,che ha partorito a novantanni,vi potete consolare.» Avrei voluto obiettare che SanGioacchinonon lavevotrovato, ma mi parve che intendesseproporsi

lui.

Mi sentii una lunghissima messache mi portò alla depressionepiù profonda. Ricevetti la santa comunione e lostia mi andò a sbattere contro le gengive, facendo un peccaminosorumore. Mi vergognaicome una ladra. Alla ne un padre diacono richiuse la porta della chiesae io ne uscii ancora una volta illibata

e demente.

Era un corpo chiaro, asttico, immemore. Un corpo che non avevapaura. Transitavasulle rive del Naviglio, solo, corvino, con laria celere di chi vuole nascondereuna grossanudità interiore o una grossagobba di malecio. Questo corpo non avevaunanima,ricordava vagamentedi averla perduta laggiù, di aver equivocato.Un terribile buco nella memoria lo costringevaa passeggiare lungo il Naviglio in preda al panico più assurdo.Era un corpo fatto di anima. La gente non lo riconosceva,o se lo riconoscevanon voleva dargli retta. A volte emettevanitriti di belva, o di puledro chiuso in unorribile stalla.I più azzardosigiungevanoa dargli qualchecalcio,taluni gli sputavanosopra. Ma il corpo sognava,e più sognavae più si rarefaceva.A volte parlava anche uno strano, grigio esperanto,mescolandoassurdamentedialetti settentrionali a ritmi danteschi. Un giorno il corpo morì, schiacciatoda una carrozzane Ottocento sbucatadalle pagine di un libro. Gli occhi trasecolaronofuori da quella testa enfatica,come due snteri magici. Fu la ne. I ragazzidel Naviglio corseroa guardarlo. La più bella, che sembravauna fata, disse:.E lassistentesocialegli diede un ceffone.

«Noi vi denunciamo», dissero i due.

Tra denunce e liti il pazzo andò a rifugiarsi al Niguarda, dove sorride beatamentepensando alla moglie nalmente scontta. Per via del manicomio, tutti credono di poter mangiare nel mio piatto e di darmi consigli. Il più solenneè di esserepiù parsimoniosa,di non godermi la vita. Quando posso,corro al più vicino juke-box e mi suonoventi canzonidi Celentano. Poi mi trovo solaa pensareche mio marito è morto, e strozzereiogni bottiglia di ogni birreria. Pareche GiuseppeVerdi non avessele sensazioniepidermiche,e che quasi ogni giorno si afdasseal barometro, comenoi ci afdiamo alloroscopo.Forsemi sbaglio:io non ho buona memoria. Comunque io, in pieno agosto,porto il cappotto.Una volta un vichingo dellamoreriuscì a entrare nella mia ben paludata fortezza di follia letteraria e mi invitò a levarmi il cappotto. Il vichingo era bellissimo.Io, matura e assonnatavittima di una sclerosi.Ma il paletot non volevo levarmelo.Dopo tre mesi di assiduocorteggiamentocominciai a pensareche il giovanevichingo volessevedermi nuda, e la cosanon mi dispiaceva. Appenami levai il paletot, guardandolorapita, il vichingo dalla mano lestalo agguantò,fuggendopoi a gambelevatee lasciandomilì con una rabbia erotica cinquantenne,fottuta, inaudita.

Lamoreper il mio OperatorePsichiatricoè stato aspramentecombattuto.Però ci fu un tempo in cui, quando mi svegliavo,nella mia mente cantavaluccello di fuoco. Questo uccello, stranamente,venne irretito da credenzemagiche, da certi fumi ancestrali, da catene di colpa inverosimili. Oggi questo uccello non canta più e le sue penne, quando mi si rivolta nel cuore, mi fanno un solleticocosìintenso che me ne debbo andare. La mia dottoressalo chiama «allarme biologico>>.Io lo chiamo disturbo psicomotorio. Ma lo chiamo anche voce veniente, veggenzapostulante, veggenzaquerula, veggenza divina (ora che sono diventata atea per eccessodi dolore, e Dio mi dà fastidio e a volte lo considero osceno).

Il Dante è un demente non altrimenti qualicato. Vesteun elegantecappotto comprato con lunghi sforzi ambientali ed esigenzedi copioneda «Centro». Ha il naso adunco,lo sguardointeriorizzato ma estremamentemagnetico.Va cianciandoche si porta dietro il retaggio di un padre ubriacone, ma lui è sobrio. Lhanno messoin manicomio, e a tratti lo

tirano fuori. Ha provato a dipingere paesaggi (vale a dire che ha provato a sognare) ma poi, stranamente,ha detto: «Mi piaceil sederedellinfermiera». E lhanno rinchiuso. Pareche per i dementi il sessosia una cosaproibita, che sia una speciedi allucinazionepatogena. Un giorno, stancadi vederlo riutato, lho baciatosulla boccae gli ho fatto un sorrisodi complicità.Il Dante ha buttato via la sigaretta,mi ha sollevatae mi ha detto: e io le appioppaidue sonori ceffoni e le dissi: «In nome di una maternità frustrata>>. La poverettanon capì. Io me ne andai indignata. Poi pregai gli amici di farmi ricoverare

immediatamente

alla neuro.

Da due anni sento il mio portiere e un altro vicino, operaio,che alle sei in punto si alzanoper andare a lavorare. La loro porta sbatteviolenta sul mio sonno di scrittore, ma loperaioha la strana, assurda convinzionedi esserenecessarioalla vita e non ne può più di dimostrarlo. Gli intellettuali, in questa società sbagliata, muoiono di inedia, di crepacuore e di stanchezza Lidraulico ti depreda di tutto lo stipendio perché «lui adoperale mani». Le adopera in tutti i sensie manomette persino il tuo riposo. E poiché alle sette il mio portiere scattasui bidoni, mi debbo alzare, perché mi sento in dovere di prenderlo sotto la mia protezione e dimentico che io sono più vecchia e stancae necessariadi lui. Ma tantè, la presunzionedel povero è orrendamentedistruttiva. Un giorno il mio farmacista,alludendo alla mia poesia su Testamento,mi disse: «Lei rimpiange la mano scudiscio».

Sì,è vero. Si rimpiangela violenza comeatto di amore,e anchedi morte. La mano scudisciadel canto delle donne non la ricordo, ma qualcosadi ibrido e di dissacranteavevaassalitosenon i miei inguini, la mia memoria.

Da lì è incominciato

il mio male e la mia ossessione.

Mi credono nobile, ambiscono alla mia arte. Invece io sono una di loro e lunica nobiltà che vorrei

concedermiè quella di un lungo sonno ristoratore. E se pensiamoche la morte ristora tutti, ebbeneci sono giorni che pur di dormire io vorrei morire: allora vado al «Centro»,dove trovo il mio operatore che ha fatto discriminazionirazzialiterribili in senoalle malattie mentali, deducendoneche la G. ha più bisognodi me di esserecurata (non so di cosa:forse dalla gran voglia di oziare). Io, stanchissima,accettoche un ragazzosi inli in fondo nella grande losoa della vita e diventi a sua volta un gran giudice della demenza, anzi, della necessitàdel povero. E la malattia è il misero capitaledel povero,che lo va innocentementea offrire a un medico, dicendogli con linguaggiomuto: in nome di questa povertà, o miseria che tu voglia chiamarla, in nome della ducia che ti porto, guariscimi.Soprattuttoin nome di Dio, che ci vuole tutti eguali e felici.

Nella

mia casa ce un cadavere

vecchio

e stantio.

O forse è solo allinterno

della mia anima.

Un

cadavereche mi porto dentro da tanto tempo. Il cadaveredi un vecchio che forse un giorno mi ha venduto al miglior offerente.E questacosa,profondamentecattolicacome sono io, non la perdono. Un tempo questocadaveretransitava,ma è morto prima che potessigridargli il mio rancoreper linnaturale egoismodelluomo, che una donna che ama non va comunquevenduta a nessunoe a nessunprezzo, neanchea quello della vita. Non possoconcepirequesto,vorrei una prova valida per sapereche non è così. Che Lui mi ha amata davvero,come io lho amato no al giorno che ho sentito dire esterrefatta che doveva morire.

Lo sapevo,lavevosempresaputo n dal primo momento, ma non così. E se così era, perché mi ha sposata?Per darmi un nuovo irresistibiledolore?Non avevacapito che un altro dolore non avrei potuto sopportarlo più? O forse era tanto cieco il suo amore? O, Dio, lamore deve essereanche la forza obiettiva della vita, di noi. Dobbiamo discernere il dolore dallamore.

Ogni giorno cerco il lo della ragione, ma il lo non esiste,o mi ci sono ingrovigliata dentro. Poco tempo fa, appenadue anni fa, il lo esisteva,ed era bello dipanare e dipanare quel grande gomitolo. E dipanandolo cantavo, proprio come la Silvia leopardiana. Ma da un po di tempo quel gomitolo è diventato un orrore di lamenti strani di tanti e tanti colori. Cepersinoun colore musicale.Ho provato a far ragionare il gomitolo. Ho provato ad amare, e in due abbiamo guardato quella matassache è rimastainalterata, offesae dura comeun ossodi seppia. Il livello delle parole inconsce,questomalato dolore, è il sensodella sua morte. Dannato, maledetto, mi avevi abbracciato una volta! Sono due anni che cammino dietro a un feretro nudo, e non celussuria

che possaripagarmi da tanto reiterato dolore. La pena motivata dalla maa, il suo assurdocingerti il collo in tempo di vita vera! E tu che forse ora dormi mentre sto scrivendo di Lui, dimmi: conosci le canzoni damore? Ti ho visto

trasudarela gioia insiemecon le fanciulle: comeesanguisono,in confronto al vero dolore. Soloil dolore è la passionevera. La disperazionepuò generarela demenzae limpossibilitàdi crederealla morte delluomo amato.La disperazionepuò sconvolgereil più grande golfo dItalia. Ma poiché Lui è morto e altri mi hanno plagiato,io invoco i giovani fortunati e allegri che credono allamore.Lui è morto e le campanesuonano a festa perché ha liberato il suo cuore. Lui è morto e non ci sarànessunauniversità che potrà dire che sono folle (e alludo ai grandi critici che mi hanno impegnato al banco dei pegni). Sì, io sono lì, impegnataper pagareuna oscura cambiale:quella della vita presente.Tu non mi crederai, ma io ho amato tanto per te: non mi importava il censodi quelli che non hanno capito i miei amori. Era che amavosoltanto Lui, con un esercitodi grandi amori.

Sobenissimoche vogliono farmi impazzire. La gente sa che sono stremata,senzaenergiané forza. O, per lo meno, ha capito che ho poco denaro, cosìne approtta per chiedermi scritti. Ma io sono ammalata.La reattività di cui sono stata accusataa Taranto è insorta il giorno in cui ho capito che sarebbemorto. Lungi dal lasciarmivivere questodolore umano, hanno imperversatosu di me come delle orrende carognee hanno portato la mia disperazione

allo stremo.E intanto Lui scompariva. Saiquando 10amai?Quando mi disse,con carità umana: «Mi parli di Lui». Allora trasecolai,e la mia boccaabbracciòla parola. Da allora ho smessodi parlare. A volte la mia lingua si consumanella piena dei ricordi. Come era bello, e andante come un adagio sublime, Lui. Le sue parole, i suoi riti, le sue consumazionidi colpa. Come era bello questograndevecchio-bambino.Era il tempio di sé.Amava sé e amavagli altri: difcile scinderneil cammino. Ma amavaanche me. Dentro la coppa della sua parola Lui mi bevevaogni giorno, comeil nettare dei romani. Tu lo sai perché non sono più tornata, amore mio? Perchého avuto paura, tanta paura. Una così grande paura che mi ha bloccato le gambe in quella psichiatria corrotta. O amore mio, silenziosoe presente.Tu non hai una tomba a Taranto,tu sei sepoltoa Milano con noi. Questolibro io te lo regalo. Mi sembrerebbedeplorevolevendere il tuo nome, ma questo libro lo ha anchevoluto Dio, che mi ha dato la forza di sopravvivere,e senessunomi soccorre,morirò presto. Oggi la mia casaè silenziosae vuota. Manca tutto, e soprattutto mancala presenzadi Dio: mi venne tolto laggiù, nel Meridione, quando con un colpo di mano mi divisero da Lui, dissacrandocosìil nostro ineffabile connubio. Manca il respiro di un uomo, un uomo attento al mio cordoglio e alle mie lacrime di gioia. Non mi sono mai sentita una malata di mente, ma una poveradiavola. Le esperienzenegative servonoa confrontarci con noi stessi,e la pazienzadi Giobberestacomunqueesemplare. Io non ho denaro, non ho quasi più vita, ma nel cuore mi alita dentro quella voce terribile delle donne nella psichiatriatarantina, che mi hanno detto: «Da Milano, facci giustizia!» Quando andai a Bergamoper ritirare un premio di poesia,mi regalaronouna bella rosa di stoffa.Da allora me la porto appuntatasulla giacca,solenne,irrisoria e provocatoria. Qualcuno mi ha fatto gentilmente notare che le donne che portano le rose,tacitamentesi offrono. A nessunoè venuto in mente che quella rosaper me era un lutto. Un lutto pesante,perchédopo il premio Bergamomio marito non lho più veduto. Sì, mi offro al miglior offerente, soprattutto mi offro al panico, ma la rosa da allora me la porto sul petto; e si chiama Michele, si chiama Alda, si chiama matrimonio sconsacrato.Si chiama vergogna.Si

chiamatutto fuorché«ore».È una rosastupida,inutile comela sofferenza umanaquandoluomodeve soffrire per colpadaltri e non per suapropria volontà terrena. Ora sono due anni che sono malata, esattamente due anni, e lho voluto io. Ancora una volta ho

chiuso il tempio pesante della mia vita. Ho fatto dietrofront immergendomi in un indecifrabile inconscio.Linconscioè ricco come il fondo del mare, pieno di coralli e di spugne,pieno di sirene e di gure di sogno.Pieno di ori carnivori. Io abito qui da due anni come quando ero in manicomio. Il manicomio è una grande cassadi risonanzadove il delirio diventa eco. Sonovissuta nel manicomio a volte volontariamente.Altre volte senzasaperlo. Come ho già detto nel mio Diario, quello che scrivo qui non è veritiero né verosimile, in quanto

raccontolorrido in maniera idilliaca. Forseun giorno scriveròil vero diario, fatto di pensieri atroci, di mostruosità e di voglia innaturale di uccidersi. Il vero diario è nella mia coscienzaed è una lapide

tristissima,una delle tante lapidi che hanno sepoltola mia vita. È stato detto da qualcuno:«Chi ha vissuto più volte deve morire più volte>>.Frase stupenda, che riassume il terribile concetto della stupidità irata delluomo che non concepiscele colpedegli altri e tollera solamentele proprie.

Il sogno spessosi alza e cammina sopra la mia testa come un elfo, un piccolissimoelfo che mi disturba ma che mi fa anche divertire. Quanti sogni ho fatto! Qualche volta ci ho visto dentro un lumino magico,qualche altra volta erano sogni pesanti come pietre che ti venivano poste al centro del cuore. Ma io questi sogni li ho accettati tutti: le gure mi piacciono, vengano o non vengano dallinconscio.Sevenivano dallinconscio,ne cercavolorigine. Erano comunquesognistupendi, pieni di colore, sogni che ti dicevano:«Dai alzati! La vita è bella; è come ce la insegnala natura, è sempreal di fuori della tua angoscia».E allora mi levavo a sederesul letto e i sogni scomparivanoed entrava laria pura del mattino e il mio corpo era una statuabellissima,la statua di un guerriero pronto a combattere e a battersiper la propria giornata. Lospedaledista poco da casa.Ci vado ogni giorno. Ci vado per discolparmi, come andrei davanti a un confessionalepubblico. Quello che mi meraviglia di questi «Centri» è la pubblica lapidazione. La mancanza di un Cristo che ti assolva diventa buffa, allora tu torni a casa e dubiti della fede.

Ci fu un tempo in cui mio marito voleva entrare nella Legione Straniera.Questo avvenivaquando, stancoe spossato,voleva liberarsi di tutto. Ma nella Legione Stranieraper lo meno si muore. Qui no.

Malgradosiamotutti stravincentiin fatto di scelleratezza, continuiamoa vivere.È, insomma,una LegioneStranieraallinverso,ma anchequi ci sono i «riuti» sociali. Quando passò il carro della storia di Pinocchio che portava i bambini al Paese dei balocchi, quelluomountuoso e grassocomeuna palla tirava su tutti quelli che capitavano,così,per far numero e

guadagnare di più. È questa,in sintesi,lepopeadellascorribanda psichiatrica. Eppureseancheloromi chiudesserole porte, ne morirei. Ma lessereche manca lì dentro, e che io vado disperatamente cercando,è limmaginedel Dio offeso. Sì, le «fanciulle in ore» sono una chiara parola. E forse tu ricordi i tempi di Saffo:in ognuno di noi ce,capovolta,unepoca.Tu hai soffertodi Orfeo. Tu lo ricordi. Lo so,forse in tempi passatianchetu sei scesoallinferno, e questo sentimento di morte io lo avverto nelle tue tempie: invano pulsano per un giornalismo che detta cronache immonde. Invano tu ami la parola del consumismo.Grande poeta damore,le mie lettere sono indirizzate a te perchétu lhai conosciuto,e lo conosciancora,e conoscii suoi sentimenti damore.Lui è sepoltoin te. Lui vive del tuo ricordo. In nome della povertà si consumanomolti delitti. Il povero è invadente e fa cose inverosimili. Il povero si insinua sotto le lenzuola altrui. Un giorno un medico mi ha detto: «Ma perché lei ha fatto quattro gli?» Gli ho risposto:«Perchémi venivanobene e perchéavevotempo da perdere». «Beatalei, ma poi li ha afdati allassistenza pubblica.» Allora gli ho detto che aveva ragione e che li avevo fatti per defraudare lo Stato. Il medico ci ha creduto e mi ha incenerito con lo sguardo.Avrei voluto dirgli che lo Statomi avevaplagiato e non mi

aveva curato e che avevo dovuto praticamente regalarmi a persone indecenti che avevanospeculato persino sulle mie forze creatrici: non dissi niente. Quando portavo i miei gli al brefotroo perché dovevo consegnarmiai manicomi pubblici non piangevo nemmeno: dovevo farlo perché ero povera. Cosìli consegnavo.

Io ho paura.Ma checosaè la paura?È lamore,è la poesiae tutto ciò cheeliminae assorbe. La paura è tutto ciò che mi tiene prodigiosamenteastrattadalla vita. Quando dico «quello mi fa paura»,intendo

dire che mi coartadi passione,e perchéuso questoterminenon lo so.È un modo comeun altro per scambiarei sensitra poesiae paura. Sei miei gli fosserovenuti a prendermi un giorno, non avrei cominciato il lungo, tremendo iter al «Centro». In quel momento, oltre al dolore disumano di un amore perduto, oltre allimpossibilitàdi rientrare nella mia casadove avevovissuto e amato, non cerache la via del ritorno impostomi per la mia sopravvivenza.Loculatezzadel mio medico, che già una volta mi aveva salvato, si fece ancora avanti.

Incontrando la confusione dialettica di questi astri della psichiatria, non si può non soggiacereallo sconforto,vedendo come ci precludono solennementeogni stradaverso la libertà. E poiché il paziente non ha nessunoche lo aiuti, corre a prenderne i colpi. Già colpevoledi per se stessoper non essere riuscito a difendersi, a difendere il proprio amore, egli ricevevolentieri i pugni e i plagi senzariuscire a comprendere(ma loro, sì). SeBasagliaè statofrainteso,è statoproprio perchéil suo procedimentonon era redditizio. Non faccio riferimento qui ad alcuno in particolare,né voglio accertarmidi quello che personalmentenon so.Non sono un medico, ma anche se lo fossi mi rendo conto che le «scarselle»leggerenon possononiente contro gli abusi di una cultura male educatae soprattutto male applicata.Ne sono statavittima anchio, ne sono tuttora

vittima

e forse lo sarò denitivamente

in futuro

se nessuno mi soccorre.

E non credo

che nella societàattuale ci sia un elementoben dispostoalla carità. Bisognatenere anche conto che a volte il malato tradisce, nel sensoche vuole esserein grado di ammortizzarsi da solo, e non occorrono certo le strutture sanitarie per compiere questo miracolo. Personalmentemi sono sentita dire di tutto: persinodi avereattaccatola silide a un malato già silitico e di avereplagiato dei giovani. A questoproposito mi viene in mente SantaTeresadAvilae tutti i santi che hanno patito ingiurie solenni e nessungodimento. E anche per noi nessungodimento, né quello sessualené quello amoroso. Ma, inaspettatamente,oggi ho sentito la voce di Dio. Di quel Dio contraddittorio e pesanteche fa la gioia dei poveri e la fogna dei potenti, e a Lui mi appello per sanaree zittire per semprela loquela dei popoli male costruiti (i popoli di psichiatri, per esempio)e prego i pochi amici rimastimi di impedire che io scompaiadi nuovo in una casadi cura. La denizione di malattia mentale a livello aspeciconon rende pienamenteil disagioambientaledel malato, il quale vive immerso in una caotica e incredibile prescienza,con pulsioni energeticheche rasentano la primitività. Listanza sentimentale supplisce vertiginosamente listanza sessuale. Lammalatonon è in grado di dare, ma solo di ricevere affetto, con tutti i deliri che comporta un

isolamento

simile in un adulto.

Una sceltadi questo tipo è comunque una scelta,anche se è stata motivata da contingenzevere e proprie. Il malato trasferisceallesternoenergiefalse,non coordinate,che possonodare luogo a illusioni di potere: nasceil malato che si denisce Napoleone. Questo per il fatto che la soluzionedel pazzoè unenorme

trascendenza

dei valori reali.

Che strano connubio è successoin me a un certo punto? Che strano intreccio di età?Con chi dovrei parlarne?Con me stessaè impossibile.Io non mi ascoltomai perché ho un saccodi coseda fare e poi non mi sento abbastanzapulita per la mia anima. Eppure qualchevolta devo fare uno sforzo,altrimenti nisco male. Quellinfante che perdura nella mia anima deve nalmente crescere,altrimenti i preti mi rideranno appresso. Tutto nel manicomio di Affori mi incutevapaura. I silenzi pesanti.Le dure, indecifrabili cateneche ci legavanoalle caviglieil passatoburrascosodella nostra infanzia. Senon avessiavuto la mano pietosadi G., in quella speciedi inferno ci sarei morta n dal primo anno. Una volta venne da me un vicino di casa. Particolarmente commossodalla mia vicenda, depose sul mio letto un bellabito. Io guardai quellabitosmarrita.

«Èper la tua riapparizionein pubblico.»

Gli dissi con stupore:«Non si va al ballo, uscendodi qui!» «Sì»,rispose,«il tuo saràun esordioda diciottenne.» Quel povero signore,impiegatodelle poste,fu un buon profeta. Non pensavaproprio alla mia poesia, ma mi voleva assaibene e avevacapito lenorme sbagliodi mio marito.

I miei piedi erano quasi semprenudi, avevo poca dimestichezzacon le scarpe.Ero così terrorizzata che appena si avvicinavaqualcuno scendevoprontamente dal mio letticciolo e me la davo a gambe. Sembravouna bestia spaventata.Un vero piccolo uccellino che andava a sbattere le sue ali contro vetrate ermeticamentechiuse.In seguito,quando vidi lo studio di A. S., pensaisubito a quelle vetrate, ma lì vi si respiravala vita, il colore, lo spazio.Parevanole vetrate di una Notre Dame dove vivesseun erroneo Quasimodo innamorato della bella Esmeralda. Una volta dimessa andai al «Centro» di via

Washington:non ceraniente di più vomitevole di quel centro di assistenzadove i malati sedevanosulle sediein attesadelle medicine. Sempredi ghetti, si trattava, e comunquedi infame miseria. Purtroppo la miseria è distruttiva e io lho sempredetestata.In tutte le malattie, le guarigioni sono inconcepibili se non vengonopermessedal denaro, e il manicomio è, tra laltro, una grossastruttura per poveri. Gli anni che seguironoalla mia liberazione,furono a dir poco felici. Ero diventata bella: se non altro il manicomio avevaprodotto sul mio corpo una speciedi ibernazione:ero ancoragiovane,e il mio volto, innocente. Il malato è innocente e il povero è talmente povero che diventa sensibilissimoallincanto della natura.

Mia glia aveva nove anni quando, sedendovicino a me nel nostro misero cucinino, vedendomi declinare giorno dopo giorno, mi chiese: «Mamma, che cosa pensi quando soffri?» Forse fu questa unatrocesofferenzache la spinseun giorno ad andarsene,commettendo a sua volta molti errori di giudizio. Ma cosasi può dire a un glio impotente, bambino ed estremamentesensibile,mentre vede

una mamma che si sta trasgurando? La mia malattia fece sì che non potessiintervenire nella loro educazione.Questo determinò in loro gravi distorsioni (gravi per quanto riguarda la loro felicità). Daltra parte questo è il diario di una mamma che ha amato tutti i gli che ha incontrato e che quando li vede soffrire diventa una iena. E quando si sente offesa da loro diventa drammatica e coercitiva. E quando li perde in momenti così difcili rinnega persinoil Signore. Il Diario di una diversaè il diario di questamadre. Sesi può fare il paragonecon la Ricercadel tempo perduto dirò che ho alle spalleunenormequantità di tempo perduto. Perduto nei confronti dei miei gli, quando non sapevanonulla di me né io di loro. E ci siamoamati così,marginalmente.Ma le mie viscerehanno gridato per loro ogni giorno. Giorni terribili e con dolori atroci li hanno partoriti. Non potendo parlare con loro ho partorito anche i gli degli altri, e poiché il parto, nel momento dellespulsione, è quasiun godimento,la mia è statachiamata«bramosiadamore». E infatti il mio utero bramava lo sperma:ma solo per creare. Per vedere due occhi bambini che mi guardasserocon gratitudine e innocenza.La mia dottoressaè madre, queste cosele capisce,anche se erroneamente vorrebbe entrare nella mia seconda creazione (come io vorrei entrare nei suoi valori

psichiatrici).Ma non è che la psichiatriasia disumana.Disumano è il dolore che la promuove. Io e la mia dottoressaabbiamo in comune una cosa:troppi gli. Forse per questo ci amiamo tanto. Ma mentre lei veglia sui suoi (i pazzi), i miei sono latitanti. Con la scusadel manicomio non li ho visti più.

La più piccola è addirittura scappataalla ricerca di una madre che certamentenon ero io. Io lavevo già abbandonata,lavevopersalungo il cammino della follia, e questaperdita il mio tesoro non me lha perdonata. Ma sapetecosaè la follia? Per me è stato un grande, inconfessabilelanguore amoroso.Un languore talmente dolorosoe spasticoda somigliarealle doglie doloranti del parto. La follia catatonica,stuporosa, ambientale,criminale, assetatadi sangue,adora stranamenteil mito di Clitemnestra.Ci fu un tempo che al Golgota salì un braccio del mio martirio. Penso che Gesù mi fosse inferiore per grandezzae tolleranza.

Lo scrivere

è una cosa seria: si dovrebbe

scrivere

con serietà come si dovrebbe

vivere

con serietà.

Forsenon ho detto nel Diario che i primi cinque anni di manicomio furono terribili. Eravamostati tutti livellati a una certa dimensioneper cui lindividuo non esistevapiù. Dimentichi, chiusi in uno stanzone, passavamole nostre giornate a fare nulla. Una poveraccia(che chiameròMadame Thénardier,comene I Miserabili), ci andava a fare la spesa,una spesacollettiva, dove facevauna «cresta».Costei era una megeramolto avida e attaccataal denaro, assolutamenteincoscientedel nostro male e del suo. Rapita drammaticamentenella sua follia, portava ansantedallo spacciole nostre povere cosee ce le dava con luntuosità di una madre che divide i gli scegliendonele colpee i meriti. Questa donna mi facevaorrore. Morì in un letticciolo da infante, tenendosi abbracciatoal petto un numero imprecisatodi soldi. La fatica sica del manicomio si è poi trasformatain quella che dovevaessereuna grande perfezione amorosa,capacedi contattare le creature cosmiche.Nacque lì dentro la mia consapevolezzadi una condizionemiserabilee religiosache affannavail concettodi Dio.

Chi intende individuare un che di perversonella costruzionedella poesiasbaglia.È inveceda

individuarsi un tessuto umano altamente tragico che ha fatalmente deviato il corso della storia individuale. E questo è il tenore storico della mia vita e di tutte le esistenzedevianti che trovano il loro riscatto nella parola, quando non la compensazionesul piano della vita onirica e misteriosa dellinconscio.

Ieri qualcuno mi disse: «I poeti sono dei porci>>.Lo stessoaffermavail dottor F. quando sosteneva che, nel casodi concupiscenzaa livello di pensiero,la testadiventa un grande organodi autoseduzione, quando non la sededi una sapientee misteriosamasturbazione. Mi credono ignorante. Hanno asseritoche ero una emerita cretina fatalmente soccorsada una voce biblica. Io so di essereuna donna colta, pur essendoautodidatta. Non ho mai potuto sopportarela presenzadi insegnanti al mio anco: la maestra per me assumevaspecicatamenteil ruolo-simbolo della donna madre e io non volevo esisterecome prodotto di questoconcepimento.Ho semprecercato in me lidentità di una creatura praticamentenon nata sul piano etico e generativodi creazionedella carne. Sono approdata quindi alla generazionedel mito illudendomi (e qui sta forse la mia follia) di essereglia di Dio. E oggi, che è domenica,non ho in tascauna lira. Cosanon ho patito per N.! Come lui ha avuto in mano la mia poveraanima lha distrutta, cometutti mi hanno distrutta. Tutti mi rimproverano i Tavor che prendo quando i dolori diventano insopportabili. Perché?Come ultima tragedia non riesco più a credere in Dio, e sono sempresopraffattadal dolore. Quelle povere donne di Taranto mi hanno detto: «Ricordatidi noi>>.Ai miei amici letterati non possopiù rivolgermi. Sono vissuta quasi nella sporciziaper due anni, incapacedi fare ciò che dovevo. I medici venuti non potevano far altro che constatareil mio stato di abbandono morale e sico. Alcuni mi dicevano che spendevotroppo, ma che cosaspendessinon so. Forse sono talmente pazzache non capisconé voglio capire più niente. Se non fosse stato per lorrendo iter che avevo alle spalle, forse avrei sopportato meglio anche la sua morte. Ma nessunomi ha mai veramenteaiutato. Ognuno ha badato ai fatti suoi. Ognuno mi ha giudicato. Nessunoha avuto pietà, forse neanchetu. Forse alcune pagine di questo libro modesto, scritto selvaggiamente,decreterannola mia ne. Mi

auguroinvececheil karmadelmionuovoeditorel_mi protegga datantafallacia.Lagentenonamache si mettano a punto i loro difetti. E di certo anchio ne ho di grossolani.Ma forse ceuna cosa che distingue il malato di mente dal sano:la non consapevolezza. Come ho detto altrove, egli è linnocente. Ma non linnocentedannunziano: è linnocentedel Vangelo. E sono appunto loro che paganoper tutti. Invito quindi coloro che ci sevizianoin nome di un certo prestigio, avallato a volte da una laurea funesta e da un pretestuosopiccolo diploma di operatoresociale,a rendersi conto della propria nullità umana. Anchio ambivo a quel pezzodi carta che forse un giorno mi avrebbestrutturata, ma poi nacque

la poesia.Chi malediredi più fra i due non lo so.È rimastoun corpotenero,forsetroppo,chenon si ricorda neanche più, dopo tanti anni di sapore delittuoso e cattivo, di avere concepito lamore in fragilissimenotti, quando la luna discendeva,solo livello di delirio. Lo so che anche tu mi inganni. E chi non troverebbe dentro un malato il proprio mutamento di destino?A volte il denaro è cosìfolle che prende delle vittime sonoree poi le fa cantareper divieto. O Dio, perdona quel denaro oscuro che fa gola alla gente, e labbandona.Un tempo il cappio era poesia:adessoè solamentecento lire.

Nellepopeadi questo generaletradimento, che è il tradimento della poesia,ceil tuo tradimento, il quale non è altro che lombrapersistentedi un Orfeo ormai morto. Finalmente, ma i miti non possono morire.

Tutti i miei libri sono collegati alla malattia mentale, voluta dagli altri quasi sempre per mia dannazione. E in questo momento non ho che da rimettermi alla volontà di Dio, perché questo tristissimo capitolo di vita si è chiuso non con la mia morte ma con lesonerocompletodi ciò che sono i valori reali del vivere quotidiano. Uomini e donne di buon cuore mi hanno aiutato. Altri mi hanno sopraffatto.Ne è nato un libro. Forsesaràlultimo, perchého trovato la pace.Ringraziotutti. Ringrazio anchei ragazzidel Naviglio che hanno visto una poverapoetessapazzadamoree di solitudine aggirarsi in cercadi un telefono per sentire una voce che non avrebbepiù sentito, invocando, da due anni, la giustiziadivina. Un giorno, una personalontana mi disse:«Lei scriveràun altro diario». Ecco,glielo consegno,e le chiedo pietà come donna e come madre, ricordandole che ha dei gli, e che credere alle calunnie è male, e difdare dellamoredi due poeti oltre che male è una bestemmia. Pubblico questolibro per fame, non perchéabbiavoglia di scriverlo.Lo pubblico perchéqualcuno ha bleffato. Perché ho bisogno di denaro. Perché le grandi opere sono state dettate da un profondo appetitopsicologicoe morale. E anchecorporeo. Andare tutti i giorni al «Centro» mi costa paure, chiacchiere,diffamazioni e vergogna.Vergogna perché è un centro assistenzialeper poveri e perché come poetessanon mi piace la promiscuità. Ma i poveri si attaccanoa tutto ciò che tende loro una mano, per salvarsi.Passanoattraversomille naufragi, attaccandosiviolentemente alla propria disperazionenché muoiono tutti in un identico fango. Ho cercatoun uomo che salvassequestamia speranza.Non lho trovato. Non lho trovato in tempo. Cadrò nel gorgo. Chiamo a testimone la mia dottoressa,alla quale gridai «aiutami!» e lei mi aiutò. Se una donna è valida può essereuna grande sovvertitrice di tempi e di emozioni. La chiamo a testimone del mio dolore ma anche le dico che la psichiatria e le lettere non hanno niente in comune. E che ci sono poetessecosìstupide che a volte vogliono morire damore. La verità io non te lho detta perché non ce,come non cela legge. Chi ce?Unaltra chimera, un altro sogno, unaltra glia non nata, perché... (e qui ci vorrebbe la psicanalisi per capire come un grembopossagenerarefantasmi inniti). O caro amico vicino e lontano che porgi lorecchioal ricordo e allavvenire,conoscitu il mistero della mia vita? Io no.

Ho scritto il mio primo diario volontariamente. Questo, il secondo,lho scritto perché non potevo parlare con nessuno(so che non ho più amici). Cosìil foglio bianco è diventato il mio analista. Luomo,per denaro, ucciderebbeil proprio simile. Caino non è morto, e Abele continua a soffrire. Eccola mia storia. Il diario nisce qui. Senon mi aiutano impazziròdi certo. Anzi, sonogià folle. {Connuovo editore AldaMerinifariferimento alleedizioni Il melangolo chehanno precedentemente pubblicato questo libro.[N.d.R.]

Nota biografica

Alda Merini nasce a Milano il 21 marzo 1931 e inizia a scrivere molto presto. Grazie allapprezzamentodi scrittori e amici fra i quali Giorgio Manganelli, David Maria Turoldo, Maria Corti, Luciano Erba , alcune sue poesiecompaiononella Antologia della poesiaitaliana 1909-1949,a cura di Giacinto Spagnoletti,pubblicata nel 1950. Altre sono inserite nella raccoltacurata da Giovanni Scheiwiller,Poetesse del Novecento,del 1951. Il suo primo libro è La presenzadi Orfeo,pubblicato da Schwarznel 1953, apprezzatoda grandi esponenti della poesia italiana, quali Montale, Quasimodo, Pasolini. Seguonoaltre due raccolte di liriche, entrambe del 1955,Paura di Dio (Scheiwiller) e Nozze romane (Schwarz).

Il 1953 è anche lanno del matrimonio della poetessacon Ettore Carniti. Negli anni successivi nasconodue glie e nel 1961 appareTu sei Pietro (Scheiwiller), loperache chiude il primo periodo della sua produzione artistica. Segueun lungo intervallo di tempo segnatodalla malattia che porterà Alda Merini, fra il 1965 e il 1972, a subire lunghi ricoveri presso listituto psichiatrico Paolo Pini. Nascononel frattempo altre due glie. In ospedalericomincia sporadicamentea scrivere,anchea scopo terapeutico, ma è a partire dal 1979 che prende lavvio la nuova produzione: la riessione sullesperienza sconvolgentedel manicomio generale liriche che solo nel 1984verranno pubblicate da Scheiwillercon il titolo La Terra Santa,un capolavoroche otterrà nel 1993il Premio Librex Montale. Rimastavedovanel 1981,nel 1983 Alda Merini sposail poeta Michele Pierri e si trasferiscecon lui a Taranto, dove viene di nuovo ricoverata. Dal 1986, tornata a vivere a Milano, nella vecchia casa sui

navigli,ricominciaa pubblicaresia versisia prosa.E del 1986Laltraverità.Diario di una diversa (Scheiwiller,edizione ampliata nel 1992), ancora sulla vita in manicomio. A breve distanza appaiono poi Testamento(Crocetti, 1988),unantologiapoeticacurata da Giovanni Raboni;Delirio amoroso(nella sua prima edizione de Il melangolo, 1989), con una nota di Ambrogio Borsani;Il tormento dellegure (Il melangolo,1990); Vuoto damore(Einaudi, 1991),curato da Maria Corti; Ipotenusadamore(La vita felice, 1992);La palude di Manganelli o il monarca del re (La vita felice, 1992);Segli angeli sono inquieti. Aforismi (Shakespeare and Company,1993); Titano amori intorno (La vita felice, 1993);Reato di vita (Melusine, 1994);Ballate non pagate (Einaudi, 1995), a cura di Laura Alunno; La pazza della porta accanto (Bompiani, 1995);La vita felice (Bompiani, 1996);Fiore di poesia 1951-1997 (Einaudi, 1998);Aforismi e magie (BUR, 1999);Superba è la notte (Einaudi, 2000). A partire dal 2000, la collaborazionecon Arnoldo MoscaMondadori produce una seriedi opere di ispirazionereligiosa,tutte pubblicate da Frassinelli:Lanima innamorata (2000); Corpo damore.Un incontro con Gesù (2001), con uno scritto di Gianfranco Ravasi;Magnicat. Un incontro con Maria (2002); La carne degli angeli (2003); Poemadella croce (2004), con uno scritto di Gianfranco Ravasi;Cantico dei Vangeli (2006); Francesco. Canto di una creatura (2007), Padre mio (2009). Muore

nella sua città il 1° novembre

2009.

Escono,postume,le opere Eternamentevivo (2010), corredatoda un dvd che contienetestimonianze inedite dellautrice,e la presenteriedizione di Delirio amoroso(2011). Oltre al già citato premio Librex Montale per la Poesia assegnatoin precedenzaa Caproni,

Bertolucci, Luzi, Zanzotto, Fortini Alda Merini ha ricevuto,nel 1996, il Premio Viareggio;nel 1997 il Premio Procida-ElsaMorante e, nel 1999, il Premio della Presidenzadel Consiglio dei Ministri. Nel 2002 le è stato attribuito lAmbrogino doro dal Comune di Milano.